Sono passati sette anni dall’ultima apparizione dell’inquisitore Nicolas Eymerich. Sembrava che il suo destino fosse una volta per tutte segnato. Il suo autore lo aveva accompagnato fino al letto di morte e al compimento del suo fato ulteriore. Un personaggio di tale potenza, però, non può evidentemente andare in pensione facilmente. E così, Valerio Evangelisti ha deciso di riportarlo di nuovo in libreria con il suo nuovo romanzo, non a caso intitolato Eymerich risorge (Mondadori, pp. 280, euro 20). Come nel caso del suo forse più illustre predecessore ritornato dal regno dei morti, Sherlock Holmes, che ricomparve all’inizio in un’avventura ambientata prima della sua presunta fine, Il mastino dei Baskerville, anche per l’inquisitore domenicano si tratta di una storia che ha luogo ben prima della sua morte. Eppure una sorta di resurrezione avverrà nel libro e quanto narrato non potrà essere senza conseguenze per il futuro della saga.

GLI ELEMENTI fondamentali di tutti i romanzi dedicati a Eymerich, che hanno impresso una svolta fondamentale alla fantascienza non solo italiana, sono presenti in questo nuovo lavoro. Ritroviamo così quella narrazione che si dipana lungo diversi piani temporali: il 1374, epoca in cui si svolgono le vicende proprie dell’inquisitore, il futuro delle guerre con la Rache, oltre a frammenti di un testo, il Vangelo della Luna, che sarà di fondamentale importanza per l’evolversi delle vicende narrate. Ritornano, poi, personaggi già incontrati: padre Jacinto Corona, spalla, compagno quasi inseparabile, a volte alter-ego comico o mastro Gombau, «braccio» dell’inquisitore. L’antagonista del domenicano è questa volta Francesc Roma, consigliere del re d’Aragona, il quale minaccia di distruggere la Chiesa di Roma, sembra dotato del dono dell’ubiquità ed è accompagnato da prodigi ed eventi inspiegabili. Intanto Marcus Frullifer nel futuro si trova ad esporre le sue teorie fisiche rivoluzionarie ai Gesuiti che gestiscono un osservatorio astronomico, l’Occhio di Lucifero, e che sembrano voler influenzare il destino dell’intera umanità. Mentre, ancora più in là nel tempo un oscuro Magister espone alla figlia Lilith e ai suoi discepoli il dogma della resurrezione dei corpi, dimostrando come sia possibile viaggiare nel tempo oltre che nello spazio e come la morte possa non essere niente di definitivo.

SI TRATTA insomma di un Eymerich di altissimo livello, cesellato da Evangelisti con la consueta maestria nella scrittura, nell’approfondimento psicologico dei personaggi, nella strutturazione della storia. Una prova ulteriore del livello a cui può giungere quella che una volta veniva definita, con malcelato disprezzo, letteratura di genere e che spesso, ultimamente, sembra essere sempre di più l’unica vera voce a levarsi per affrontare quelle questioni più controverse e profonde che attraversano e plasmano il nostro tempo.
E forse non a caso il romanzo è ambientato, oltre che in Provenza e nel Luberon, anche nella Val di Susa, dove, come ricorda uno dei personaggi, Marcel: «Non vi sono materiali utili nelle montagne. Solo sostanze avvelenate, capaci di provocare malattie mortali. Uccidono non subito, ma nel tempo».
E dove, un Eymerich quanto meno insolito arriva ad affermare: «Cristo ha anche detto di essere venuto a portare non la pace, ma la spada. E nel suo insegnamento era implicita una nozione. Uno zoppo, un sordo, un cieco sono impotenti. Ma cento zoppi, sordi e ciechi no. Se si uniscono possono dare vita alla più potente delle armate».