«Chi aveva la guida del Pd nel 2018 dovrebbe ricordare bene in quale stato versava il Pd allora: sconfitto, fuori dall’asse politico del paese, privo di alleati e di sbocchi. E dovrebbe apprezzare i risultati che Zingaretti ha ottenuto in questi anni, e che lo ha fatto con un forte spirito unitario».

Nicola Oddati, membro della segreteria del Pd, riflette sullo stato di salute del partito. E sugli attacchi che dagli ex renziani stanno piovendo sul segretario in questi giorni.

Orfini sostiene che la caduta di Conte e la nascita del governo Draghi sanciscono il fallimento di questo gruppo dirigente.

È un ragionamento privo di qualsiasi fondamento non solo politico, ma anche logico. Il Pd ha riunito più volte la direzione durante questa crisi, e le riunioni si sono sempre concluse con voti unanimi. Tutti abbiamo lavorato per un Conte ter poi, preso atto che questa ipotesi non era percorribile, abbiamo accolto l’appello del Capo dello Stato per un governo istituzionale.

Forse qualcuno non era d’accordo e non lo ha detto…

Diciamo che chi sta nel Pd dovrebbe sapere che le responsabilità della crisi e del suo esito sono tutte in capo a Italia Viva, che aveva l’obiettivo dichiarato di mettere in crisi l’alleanza giallorossa e danneggiare il nostro partito. Questi sono i fatti, incontrovertibili.

Ora la lotta è sul futuro dell’alleanza con il M5S.

Abbiamo fatto molto bene a consolidare l’alleanza con Leu e 5 stelle anche durante la nascita del governo Draghi: questo ha impedito uno slittamento a destra della maggioranza.

Per decidere se sarete ancora alleati dei 5S serve un congresso?

A chi ha dubbi dico che errare è umano, perseverare è diabolico. Non vedo realisticamente alternative all’alleanza che ha sostenuto il Conte 2 e che ha ottenuto risultati importanti. In questi 18 mesi il Movimento è molto cambiato su punti dirimenti come il rapporto con l’Europa. E un alleanza non è mai sostitutiva dell’identità. Discutiamo su cosa è il Pd, il suo ruolo in questa nuova fase, il suo riformismo. Approfittiamo di questa temporanea cessione di sovranità che riguarda tutti i partiti per mettere a fuoco il nostro ruolo in questa nuova fase.

C’è una parte del Pd che guarda a Renzi, a Calenda, a Forza Italia.

Forza Italia è nel centrodestra, e Italia Viva col 2% non mi pare possa contribuire in modo rilevante a una coalizione. Aggiungo che negli ultimi due mesi c’è stata tra noi – e dico tutto il Pd- e IV una forte distanza di analisi politica. E’ possibile pensare di allargare l’alleanza a forze moderate e liberali, ma partendo dalla base che c’è. Non si può lasciare il certo per l’incerto.

Insisto: serve un congresso per ribadire questa linea? Ne ha parlato anche Bettini…

Ne discuteremo a marzo all’assemblea nazionale, valuteremo tutti insieme qual è la strada migliore. Il congresso di solito si fa ogni 4 anni, e noi lo abbiamo fatto nel 2019. Se c’è una unità di fondo sulla linea, pur con delle differenze, quello è l’appuntamento; se invece si ritiene che ci siano differenze radicali di analisi e prospettiva si può anche valutare di anticipare il congresso mettendo in gioco anche la leadership. L’importante è avere un confronto franco e leale, senza ipocrisie. È il momento della chiarezza, da parte di tutti.

Lei cosa ne pensa?

Se sto agli atti formali, ai voti espressi in direzione, non vedo distanze incolmabili, anzi. Mi pare che si sia una solida maggioranza intorno a Zingaretti. L’importante è che non sia di facciata.

Il segretario è stato troppo tenero verso i dissidenti interni?

Nicola ha sempre avuto una forte tensione unitaria, ha evitato che il Pd sbandasse. Ma la tensione unitaria deve essere di tutti, non può diventare una fatica di Sisifo. Chi non la condivide lo dica, a viso aperto.

Una delle accuse che vi vengono fatte è di esservi impiccati a Conte, «O lui o il voto», e poi di aver fatto una repentina inversione a U su Draghi.

Il Pd non ha mai detto nei suoi organismi dirigenti “o Conte o voto”, né ha mai chiesto le urne. Abbiamo lavorato per ricostruire la maggioranza attorno a Conte, che era un punto di equilibrio. E avvertito che le elezioni erano un rischio reale. Concetto confermato anche dal Capo dello Stato. Quanto al futuro di Conte, potrà svolgere un ruolo nella futura coalizione, ma dentro il M5S. Conte non è un tema del Pd, è però un premier che ha costruito, lavorando con noi, un patrimonio di consenso nell’opinione pubblica. Non vedo perché dovremmo considerarlo un problema.