Nel 1985 Nick Cave, cantautore gotico in equilibrio tra la ferocia disarticolata del post-punk e la raffinatezza manieristica del poeta decadente, si chiude in una stanza a Berlino con l’idea di scrivere un romanzo. Ne uscirà tre anni più tardi con una storia inquietante, titolata E l’asina vide l’angelo (traduzione di Francesca Pe’, SUR, pp. 426, € 20,00), di cui sono protagonisti Euchrid Eucrow e la valle di Ukulore. Secondogenito di una madre violenta e alcolizzata e di un padre silenzioso e sadico, ossessionato dell’ideazione di trappole il più crudeli possibili che usa per maciullare e menomare gli animali selvatici, Euhrid si muove tra una fortezza fatta di rottami arrugginiti, spazzatura e trabocchetti tanto rozzi quanto letali e un esercito di cani rabbiosi, storpi e affamati, ammassati l’uno sull’altro in un canile che ha le fattezze di un lager.

Tra il rock e il plot
Vestito da capitano, nella sudicia e patetica imitazione di un pirata, Euchrid si arrampica su una torre di guardia per scrutare le vite degli abitanti di Ukulore, valle di fanatici religiosi dediti al culto di un profeta pazzo, che lo emarginano, trattandolo come un mostro. Euchrid è il re di Testa di Cane, feudo allucinato fatto di malattia, incubi e rancore: è un mistico deforme e muto, che compensa l’impossibilità di parlare con un monologo interiore torrenziale, altisonante, in netto contrasto con lo squallore iperbolico del paesaggio che lo circonda.

Dopo l’esordio, ancora influenzato dal frastuono new wave dei Birthday Party, sua prima band, Cave approfondisce la fascinazione nei confronti della musica e della cultura degli Stati Uniti del sud (e del Southern Gothic in particolare) negli album The Firstborn is Dead e Your Funeral… My Trial, vere e proprie opere complementari al romanzo. Alcune delle canzoni, infatti, contengono motivi e personaggi poi ampiamente sviluppati. In The Carny, per esempio, un pezzo circense e funereo dedicato al mondo dei Freak Show, così simile all’umanità sfigurata di queste pagine, gira il ronzino pelle e ossa di nome Cordoglio, che viene inghiottito dalla palude di Ukulore in una scena da incubo.

Il titolo del primo disco, poi, è un riferimento all’icona musicale per eccellenza del Sud, Elvis Presley, che, come Euchrid, fu l’unico sopravvissuto di un parto gemellare. Il tema del primogenito nato morto si riaffaccia curiosamente qui e là nella letteratura del Sud americano, forse ispirato proprio dalla biografia di Elvis, la cui importanza nell’immaginario locale non è trascurabile. Scene bibliche pervadono tutto il romanzo, come vuole la tradizione del gotico del Sud, che, raccolta a piene mani dagli esempi di William Faulkner e Flannery O’ Connor, trova in Cave un discepolo colto e spregiudicato.

Un sublime perturbante
Euchrid il muto, in bilico tra slanci spirituali e pura crudeltà, è il più improbabile dei profeti. Il suo angelo custode, Cosey Mo, è una prostituta tossicomane che viene linciata dalla folla nel tentativo di estirpare il peccato dalla valle. Beth, bambina sacra della comunità con evidenti problemi psicologici, è convinta che Euchrid sia Dio, ma l’unione che cerca ha ben poco di mistico, e acquisisce piuttosto i toni di una carnalità malata.

Prodotto dell’ambizione irrefrenabile di un artista travolto dalla sua stessa vena inventiva, E l’asina vide l’angelo è tutto all’insegna dell’eccesso: linguisticamente ridondante, ultraviolento, grottesco fino al disgusto, sembra quasi aspirare a una sorta di sublime perturbante. Forse la funzione del romanzo era, per l’autore all’epoca tossicodipendente e preda di accessi paranoici, quella di un rito purificatorio: lo splendido graphic novel di Reinhard Kleist, Nick Cave: Mercy on Me, lo raffigura accovacciato davanti alla macchina da scrivere mentre si inietta inchiostro nelle vene, riversandolo poi su cataste di fogli stropicciati. La ricerca disperata della redenzione, tema caro all’autore presente in molte canzoni e rispecchiato nelle azioni deviate dei personaggi, passa attraverso una catarsi tanto diabolica quanto sterile: contrariamente alle opere di O’ Connor, nelle quali le improvvise esplosioni di violenza sono finalizzate a una contorta dimostrazione della presenza imperitura della grazia divina, questo romanzo si presenta più come una mostra di atrocità, che conserva però una bellezza depravata e ammaliante.

Icona della scena dark, carico di suggestioni derivate dal simbolismo e dalle espressioni più oscure del romanticismo, Cave dimostra un’obliqua discendenza dalla scuola cimiteriale, oltre che dalla tradizione gotica statunitense, proprio nella ricerca (se non addirittura nel tentativo di ridefinizione) di un sublime corrotto, che trasmette al lettore la sua fascinazione ambigua, fatto di repulsione e di attrazione inconscia verso tutto ciò che è violento e oscuro. Lo scrittore stesso appare sostanzialmente sospeso tra una contorta aspirazione verso l’assoluto (rappresentata dal rapporto tormentato con il divino) e una pulsione altrettanto forte nei confronti degli inferi della follia, dell’ossessione e della morte.

Tra religione e blasfemia
In questo senso, non stupisce che la stesura del libro sia coincisa con un periodo di cieca autodistruzione: come nelle sue storiche esibizioni dal vivo, veri e propri rituali in cui solennità e aggressività si coniugavano nel creare un’insidiosa atmosfera ieratica, anche in questo romanzo l’autore sembra consumarsi nell’atto della scrittura, scena dopo scena al ritmo di un predicatore invasato.

Nei toni apocalittici e nell’ossessione per il peccato, Cave ha scritto un romanzo religioso e blasfemo allo stesso tempo, un vangelo della corruzione che investe di sacralità anche le azioni umane più abiette. Il risultato, per quanto viziato dal narcisismo della giovane rockstar, non lascia indifferenti.

E l’asina vide l’angelo è un pastiche faulkneriano che ha sostituito il bourbon con l’eroina, uno sguardo allucinato sul Sud americano figlio del Tod Browning di Freaks e dell’Edgar Allan Poe più morboso, filtrato attraverso gli scricchiolii di un vecchio vinile di murder ballads.