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New York, la boxe è popolare

New York, la boxe è popolarePark Hill Boxing Club – Fabrizio Rostelli

Sport Lo spirito della palestra aperta a tutti gestita da Gerry Stark

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 1 settembre 2018

Dalle finestre dei palazzi di fronte, un paio di donne afroamericane si affacciano regolarmente, scostando le tendine, per vedere se sono ancora lì. I bambini che escono da scuola mi passano accanto sul marciapiede osservandomi incuriositi. Fermo due ragazzi per chiedere informazioni ma tirano dritto senza ascoltarmi, quando però intuiscono la parola boxe tornano indietro. «Stai cercando la palestra di pugilato?», mi domandano sorridendo, «è qui dentro» indicando il palazzo marrone alle mie spalle. Sono i «famigerati» project, il corrispettivo delle nostre case popolari; palazzi di circa 20 piani dove vivono le famiglie più povere di New York.
A PARK HILL
L’indirizzo è esatto ma non c’è nessuna insegna che segnali la presenza di una palestra. Non sono mai stato prima in questo quartiere di Staten Island e la presenza di bianchi a Park Hill non è frequente. Il mio contatto arriva pochi minuti dopo, si chiama Floriano Pagliara. È un pugile, campione italiano e IBF nella categoria superpiuma e da circa 10 anni vive a New York. Dal 2015 Floriano non combatte più ma, dopo esser passato per la leggendaria Gleason’s Gym, il tempio della boxe, ha deciso di tornare ad allenarsi e ha scelto questa palestra di periferia. Entriamo nel palazzo e raggiungiamo una porta al piano terra, quando ci aprono mi ritrovo direttamente all’interno della Park Hill Boxing Club. Odore acre, familiare, di cuoio e sudore. Una palestra di pugilato spartana tra gli appartamenti di edilizia popolare. Un solo ring, 3 sacchi veloci, 3 sacchi pesanti e spazio per gli esercizi: lo stretto indispensabile per allenarsi.
Qui non ci sono iscrizioni o rette da pagare, ognuno può venire ad allenarsi, purché rispetti il decalogo di comportamento della palestra. Gary Stark gestisce questo posto dal 1997, il suo obiettivo è formare i ragazzi mentalmente e fisicamente, tenendoli lontani dalle tentazioni della strada. Chi può pagare contribuisce in base alle proprie possibilità. Alla palestra arrivano donazioni dalla Atlas Foundation che ha sviluppato The Atlas Cops & Kids Boxing Program per ragazzi dai 10 ai 21 anni. Oltre a quella di Park Hill, ci sono altre due palestre che aderiscono al programma: Flatbush Gardens a Brooklyn e Berry Houses a Staten Island.
«Questo è un posto perfetto per una palestra, perché in un quartiere povero i ragazzi possono venire qui e stare lontani dai problemi – mi spiega Gary – Sono stato un pugile dal 1976 al 1990, ho vinto 4 guanti d’oro, 3 a New York ed uno in Florida. Volevo diventare un professionista ma sono diventato una guardia carceraria».
Gary dirige la palestra e allena personalmente gli atleti. «Da ragazzo mi piaceva molto il baseball ma un mio amico pugile mi ha fatto conoscere la boxe e mi sono immediatamente innamorato di questo sport. Quando mio figlio aveva due anni già veniva con me in palestra, ora anche lui è un pugile». Il fatto che qui ci si possa allenare gratuitamente potrebbe far pensare che la qualità dei pugili sia scarsa, in realtà la Park Hill Boxing Club è frequentata da diversi giovani talentuosi boxeur come «Sir» Marcus Browne (classe 1990), con all’attivo 22 incontri, tutti vinti, 16 dei quali per KO. «Lui tienilo d’occhio perché diventerà sicuramente campione del mondo» mi assicura Floriano. «Mi sono ritrovato qui quasi per caso – mi racconta Pagliara – dopo il mio trasferimento a Staten Island ho iniziato a cercare una palestra di boxe per allenarmi. Ce ne sono molte, ma come si dice…tutte le strade mi hanno portato a Park Hill. È stata una fortuna perché, oltre ad alcuni campioni che si stanno affermando come Marcus e a campioni in ascesa come Pop, che a 5 anni fa già i guanti, ho conosciuto un grande uomo: Gary. Non è solo il primo allenatore e il proprietario della palestra, ne incarna anche l’anima. È una splendida guida per i ragazzi, li prende dalla strada e gli insegna una disciplina, offrendogli un’alternativa rispetto ad una vita probabilmente già scritta».
Con Gary parliamo di boxe: «Mi piacciono molto i pugili degli anni ’70 e ’80, gli incontri di Alì e Frazier, in quel periodo c’erano dei veri combattenti. Prima i pugili combattevano perché ne avevano bisogno per sopravvivere, ora non è più così. Oggi dopo 10 incontri ti conoscono già tutti e si può decidere contro chi combattere e chi evitare, in passato si combatteva contro ogni avversario. Tutti vogliono venire negli Stati Uniti per praticare la boxe, perché il pugilato americano è il più famoso del mondo. Qui ci sono i manager, i promoter e si possono fare i soldi. Anche la boxe femminile sta crescendo, ci sono delle ottime combattenti come le sorelle Amanda e Cindy Serrano (originarie del Puerto Rico ndr)».
Quando gli chiedo chi sia il suo pugile preferito non ha dubbi: «Roberto Duran! Adoro Duran, quando ero un ragazzo l’ho visto allenarsi alla Gleason, era fantastico».
Il paragone con le realtà delle palestre popolari italiane, penso alla Valerio Verbano al Tufello o alla palestra del Quadraro solo per rimanere a Roma, forse potrebbe apparire azzardato ma in fin dei conti le periferie del mondo si assomigliano sempre. In Italia non esistono fondazioni come la Atlas ma lo spirito che anima queste micro-comunità è molto simile ed i punti di contatto sono diversi: la vicinanza con i quartieri popolari, il tentativo di recuperare la dimensione popolare dello sport, le storie e l’umanità dei ragazzi che frequentano questi luoghi.
«La boxe rappresenta ancora una strada per uscire dalla povertà – osserva Gary – soprattutto per i pugili che provengono da altri Paesi».
FRANKIE
Mi avvicino a Frankie, l’allenatore in seconda. «Il mio vero nome è Efrain Carrera, aiuto Gary ad allenare i ragazzi, gli spiego cosa sbagliano. Mi chiamano coach e sir e mi fanno sentire vecchio anche se ho 26 anni, ma mi piace davvero». Frankie insegna il pugilato anche attraverso il linguaggio dei segni.
Quando hai iniziato a praticare la boxe? «Ho indossato i guantoni per la prima volta a 19 anni quando ho finito le scuole superiori. Il mio piano originario era entrare nei marines come mio padre. Gli feci una promessa prima che morisse, dovevo entrare nei marines insieme ai miei fratelli. Ma non vedevo un futuro, un giorno ho assistito ad un combattimento di MMA con mio fratello maggiore e ho capito che era quello che volevo fare. Combattere. Mia madre e i miei fratelli pensavano non parlassi seriamente ma dopo diversi anni eccomi qui.
Cosa rappresenta per te il pugilato? «Per me la boxe è tradizione, mio padre ha combattuto nei marines, mio fratello nell’esercito. Non mi interessano i soldi, mi interessa la reputazione. Se hai poco, il pugilato è il modo migliore per sfogare le tue frustrazioni e trasformarle in qualcosa di positivo, che ti migliori. Questo è accaduto a me e ora vorrei aiutare questi ragazzi».
Osservo l’intero ciclo di allenamento, i pugili più grandi mi chiedono di scattargli qualche foto, come il promettente Tyg Younan che si allena al sacco insieme al padre.
Poco prima di congedarmi arriva l’ultima sorpresa della giornata: entra in palestra Michael, un ragazzo di circa 15 anni, con un sorriso che esprime felicità. Tutti lo abbracciano e si congratulano con lui, poi sale sul ring su invito di Gary e mostra a tutti il trofeo. È nero e viene dalla periferia di Park Hill ma non conta perché ha appena vinto il suo primo guanto d’oro.

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