A New York si sono svolte le primarie di entrambi i partiti per scegliere i candidati che a novembre si contenderanno il ruolo di sindaco. Sono le prime elezioni cittadine ad utilizzare il voto a scelta multipla che potrebbe ritardare la dichiarazione del vincitore fino a metà luglio, ma più di tutto sono le prime elezioni di respiro nazionale in questa era di passaggio, dopo i picchi della pandemia e in piena crisi economica e sociale.

New York city è diventata una sorta di laboratorio politico del partito democratico, è qui che il nuovo socialismo americano ha attecchito più che in qualsiasi altro Stato Usa, è qui che è cominciata l’onda di rinnovamento della classe politica da Alexandria Ocasio-Cortez in poi, per cui in un confronto tra un esponente dell’establishment e un giovane liberal, chi ha di che temere è il primo. Il sindaco uscente Bill De Blasio è stato il primo sindaco di una grande città a vincere con un programma di vera sinistra e ha giurato come sindaco per la seconda volta di fronte a Bernie Sanders. Ora la città, stremata da un anno di problematiche nuove che si sono accumulate su quelle ormai endogene di questa metropoli, sta attraversando una crisi profonda su molti livelli.

Queste elezioni che coinvolgono il sindaco, il procuratore distrettuale di Manhattan e una sfilza di primarie del consiglio comunale, sono finestre imperfette ma importanti sugli atteggiamenti democratici e sui livelli di impegno, mentre la nazione emerge dalla pandemia nell’era post-Trump. Il gruppo di New York dei Democratic Socialists of America non si è espresso riguardo la scelta del candidato dem a sindaco, ma ha dato l’endorsement per tutta una serie di consiglieri comunali che avrebbero il potenziale di cambiare l’equilibrio ideologico del Consiglio, e questo è un segnale di come anche il Dsa non si aspetti una scelta particolarmente coraggiosa nella decisione del candidato a primo cittadino. In una città come New York la scelta del candidato democratico equivale alla scelta del sindaco in quanto i repubblicani, a meno di incredibili colpi di scena, non hanno alcuna chance di vittoria, per cui non c’è un elettorato repubblicano da blandire, ma solo una base democratica con cui confrontarsi, e per ciò la scelta di queste primarie equivale alla prova della temperatura liberal del partito.

A New York anche se la vita negli ultimi mesi è migliorata, grazie a milioni di vaccinazioni, la crisi della disoccupazione che da apocalittica è diventata «solo» seria, alle piazze più calme grazie a una nuova presidenza che ha riportato la scienza al posto che le spetta e un grado minimo di decenza tornata alla Casa Bianca, sta diventando chiaro che questa pandemia ha cambiato la società in modi imprevisti che potrebbero richiedere anni per ricucirsi.

«Purtroppo non è questo il momento per la sinistra radicale» è il commento più diffuso nella base democratica. «Vorrei una svolta socialista in questo Paese, ma non in questa città – dice Hanna, avvocatessa 46 enne di Brooklyn – Abbiamo impiegato 40 anni per liberarci dalle macchine date a fuoco, lo spaccio di eroina, le strade dove bisognava stare attenti al lato su cui si camminava. Ora è un momento critico, un errore nella scelta del sindaco potrebbe riportarci a quel punto. Abbracciare lo status quo al limite ci mantiene dove siamo. In bilico, appunto. E poi il più centrista dei candidati è comunque più a sinistra di Bloomberg, per il quale non ho mai votato». Questa percezione per cui ci si può spostare a sinistra solo in periodi non emergenziali è probabilmente uno dei problemi con cui la sinistra americana dovrà fare i conti.