E’ cominciato pochi minuti prima della nove di un perfetto mattino newyorkese di settembre. Sullo sfondo del cielo limpidissimo, l’enorme voragine contornata di fuoco si apriva come una risata nella parte superiore della torre nord del World Trade Center. Persino i rumori della città sembrano essersi interrotti di fronte allo spettacolo.

“Un aereo è appena entrato nelle Twin Towers”, spiega, lui stesso stupito di quello che sta dicendo, uno dei commessi della macelleria Ottomanelli. Vicino a lui annuiscono altrettanto sconcertati altri passanti “Era un aereo di linea – dice qualcuno – Volava basso e, crash, è finito diritto nella torre” aggiunge una signora. “Non stava precipitando – specifica un altro – sembrava deciso a schiantarsi”, annuisce un ragazzo incredulo. “Terroristi” è la conclusione di più di uno.

Sulla Settima Avenue, in corrispondenza di Bleecker Street, nel West Village, un angolo da cui fino a ieri si godeva una perfetta prospettiva sui “grattacieli gemelli”, gruppetti di persone con il caffè in mano, le borse della spesa o i vestiti da jogging fissavano come ipnotizzati l’inizio di quella che, nelle successive ore della giornata, sarebbe stata definita “un’azione di guerra contro gli Stati Uniti” o, come ha già affermato qualcuno, “una nuova Pearl Harbor”.

Circa dieci minuti dopo, da destra, in quel quadro già surreale, entrava in campo un aereo d’argento e senza nemmeno tentare di virare andava a colpire l’angolo meridionale della torre sud, quella rimasta intatta. Fiamme e subito dopo fumo.

Entro due ore, in una sequenza che può solo essere descritta facendo riferimento a Independence Day, le Twin Towers si sarebbero accasciate su se stesse, scomparendo per sempre, in una nuvola di fumo nero e bianco dallo skyline di Manhattan. Questo mentre gli schermi della tv, a casa, mostravano simili nuvole nere levarsi su Washington, dietro all’Old Executive Building, in corrispondenza di quello che, si sarebbe scoperto qualche istante dopo, era il Pentagono.

Casa Bianca, Campidoglio, Dipartimento di Stato e del Tesoro sono evacuati annunciavano i giornalisti dei tg sulle immagini. Chiusi anche tutti gli aeroporti del paese mentre, a New York, il blocco dello spazio aereo, dei ponti, dei tunnel e delle metropolitane rendeva Manhattan assolutamente isolata. Nelle ore successive sarebbero stati evacuati anche tutti gli edifici federali del paese, i maggiori monumenti e l’aeroporto di Los Angeles. Secondo quanto riportato dalla tv è stato sbarrato anche il confine tra Stati Uniti e Messico.

A poche ore da quello che sembra essere il maggior attacco terroristico mai effettuato contro gli Stati Uniti, nessuno azzarda a ipotizzare quello che sarà il numero di morti. Si pensa a cifre che potrebbero superare il migliaio, visto che il solo World Trade Center conta circa 50.000 impiegati ed è frequentato da circa 150.000 persone al giorno. In una conferenza stampa di primo pomeriggio, il sindaco di New York Rudy Giuliani ha detto di non essere ancora in grado di dare indicazioni precise, ma ha parlato di almeno 1500 feriti in grado di camminare da soli, 600 persone già ricoverate in ospedale e di oltre 150 morti sicuri. A New York e Washington si sono stati indetti appelli per la raccolta di sangue e tutti gli ospedali funzionano in stato di emergenza.

Mentre le sirene non hanno smesso di urlare per tutto il giorno, dalla televisione si apprendevano le prime versioni dei fatti: presumibilmente dirottati da terroristi, quattro aerei di linea carichi di passeggeri si sono abbattuti contro le Twin Towers, il Pentagono e un campo della Pennsylvania a Sud di Pittsburgh.

La American Airlines ha riportato la perdita di due dei suoi jet, uno in rotta da Washington a Los Angeles, con a bordo 64 passeggeri (forse quello che è caduto sul Pentagono), e uno che volava da Boston a Los Angeles, con 92 passeggeri, e che presumibilmente dovrebbe essere uno di quelli che hanno colpito il World Trade Center. Due aerei caduti anche secondo la United Airlines, un Newark-San Francisco, con 45 persone a bordo, abbattutosi in Pennsylvania e un Boston-Los Angeles, con 65 passeggeri (forse il secondo delle Twin Towers). Tutti diretti verso la West Coast, gli aerei avevano i serbatoi pieni al massimo di benzina, cosa che ha aumentato la gravità delle esplosioni.

Nuovo panico è sorto nel corso della mattinata quando la Cbs ha improvvisamente parlato di altri 4 dirottamenti, e quindi di altri quattro aerei che avrebbero potuto essere diretti contro bersagli non precisati negli States. Ma, più tardi, le linee aeree hanno confermato di aver ripreso contatto con tutti i 50 voli già in aria al momento dell’attentato. In dubbio anche la notizia di una macchina bomba che sarebbe esplosa immediatamente fuori dal dipartimento di stato.

Con le immagini del disastro – le nuvole di fumo che avvolgevano New York e Washington, la gente che correva per le strade in preda al panico, i racconti dei testimoni oculari sconvolti, le gente che cerca di uscire da Manhattan camminando sui ponti a piedi – ripetute incessantemente alla tv e che davano l’impressione di una vera e propria guerra in corso, i telefoni che facevano fatica a funzionare e l’informazione che arrivava imprecisa e in maniera del tutto decentrata l’impressione era quella di un paese paralizzato.

Ed era un’impressione accentuata – in questo contesto così tragico e assurdamente cinamotografico allo stesso tempo – dalla quasi completa invisibilità dei maggiori rappresentanti del governo Usa.

Raggiunto in Florida, dove partecipava ad un evento presso una scuola locale, il presidente George W Bush ha fatto una prima, vacillante, apparizione a mezz’ora circa dal primo incidente e in cui il leader Usa ha chiesto di pregare per le vittime e promesso di punire i colpevoli anche se, a quel punto, l’ipotesi terroristica non era ancora confermata.

Bush, incerto nelle parole e con lo sguardo di un animale sorpreso dai fari di un’auto, sembrava ancora più spavantato qualche ora dopo, quando ha rilasciato un’altra dichiarazione dalla Luisiana, dove era atterrato con l’Air Force One in attesa di essere nascosto in un posto sicuro.

Leggendo da un foglio di carta, Bush jr. ha definito gli eventi della giornata “un attacco alla libertà” e ha promesso di punire “i cordardi senza volto” che lo avevano effettuato. Ha assicurato che le piene risorse del governo erano al lavoro per superare la crisi e di essere in continuo contatto con il suo vicepresidente Dick Cheney, la leadership del Congresso e lo Stato maggiore per cercare di “garantire tutte le precauzioni possibili per proteggere la popolazione e per garantire il regolare funzionamento del governo”.

Come risposta a un gesto terroristico di così grave portata ma anche di così elevata entità simbolica, l’invisibilità fisica di tutto il governo Usa in un giorno in cui l’America era incollata davanti alla tv era bizzarramente significativa. In crisi di questa gravità, i protocolli di sicurezza prevedono che presidente, vice presidente, stato maggiore e leadership del congresso (lo speaker della Camera Dennis Haysbert, terzo in linea per la presidenza dopo Bush e Cheney è anche lui stato nascosto in un rifugio segreto) vengano collocati in appositi rifugi e preferibilmente tenuti in contatto tra loro ma fisicamente separati. Probabilmente ieri è successo qualcosa di simile.

Ma la loro virtuale assenza, paragonata alle mega operazioni di soccorso in atto nelle città, rendeva ancora più preoccupanti le prospettive di quello che potrebbe succedere nei prossimi giorni.