Con una mossa inusuale, due ex presidenti, repubblicano e democratico, in occasioni separate, si sono espressi, senza nominarlo esplicitamente, contro il presidente in carica: si tratta di George W. Bush e di Barack Obama.

Il repubblicano Bush jr, in una conferenza a New York ha affermato che l’America deve «recuperare la propria identità di fronte a sfide agli ideali su cui è stata fondata». «Vediamo il nazionalismo distorto in ‘nativismo’, si è dimenticato il dinamismo che l’immigrazione ha sempre portato in America si dimentica – ha detto Bush che di guerre se ne intende – che il conflitto, l’instabilità e la povertà seguono la scia del protezionismo. Stiamo vedendo il ritorno di sentimenti isolazionisti, dimenticando che la sicurezza americana è direttamente minacciata dal caos e dalla disperazione in luoghi lontani».

Obama è stato più circospetto; tornato per la prima volta a fare campagna elettorale, è impegnato a sostenere i candidati democratici che corrono come governatore in New Jersey e in Virginia. Ha raccolto voti dunque, ma nel contempo ha difeso la sua legge sull’assistenza sanitaria in un momento in cui Donald Trump sta cercando ad ogni costo, anche andando contro il suo stesso partito, di smantellarla.

Anche Obama ha sottolineato le divisioni sociali, economiche e razziali che stanno sbriciolando la società americana, si è appellato ai concetti di unità e solidarietà, termini che nella dialettica dell’America di Trump non trovano spazio.

«Quello che stiamo vedendo è la stessa vecchia politica di divisione che abbiamo visto tante volte in passato, che risale a secoli fa – ha detto Obama durante il comizio per Philip D. Murphy, in New Jersey – Alcune delle politiche che vediamo oggi, pensavamo di averle archiviate decenni fa, sono fatte da persone con lo sguardo 50 anni indietro. È il XXI secolo, non il XIX. Dai!».

Poche ore dopo, in Virginia Obama ha indirettamente risposto all’affermazione di Trump secondo la quale l’ex presidente non avrebbe mostrato interesse per le famiglie dei soldati morti in guerra e lo ha fatto citando il lavoro del loro candidato a governatore, Ralph S. Northam, come medico dei veterani dell’esercito presso un ospedale militare in Virginia, «ospedale militare che ho visitato costantemente durante i miei otto anni di presidenza», ha detto Obama.

Entrambi gli interventi di Obama sono stati appassionati ma l’attenzione era rivolta verso Murphy, per il quale si è mosso tutto il partito: stanno facendo campagna per lui l’amatissimo vice presidente Joe Biden, l’ex segretario di Stato Kerry e Hillary Clinton è tornata dietro le quinte a raccogliere fondi per lui.

La nota oliata macchina dell’establishment per un candidato che, benché più che dignitoso con posizioni liberal, ha un passato super integrato: ha lavorato come presidente della finanza per il Comitato Nazionale Democratico ed ha alle spalle una carriera di 23 anni a Goldman Sachs, dove ha ricoperto posizioni di alto livello ed accumulato notevoli ricchezze, prima di ritirarsi nel 2006. Un candidato molto lontano dagli outsider ipotizzati da Bernie Sanders.

Bisogna anche dire che tutti i candidati outsider del partito democratico, da un anno a questa parte non fanno altro che perdere elezioni contro impresentabili repubblicani sostenuti da Trump, arrivando sempre lì lì per vincere, ma non vincendo mai, Philip D. Murphy potrebbe essere la prima grande vittoria democratica dopo 12 mesi di dolori.

Di questa vittoria ce n’è particolarmente bisogno per contrastare le politiche ambientali locali del governo Trump: durante la notte di giovedì il Senato ha fatto un passo significativo verso la riscrittura del codice fiscale con il passaggio di un progetto di bilancio che agevola un taglio di 1,5 trilioni di dollari e che spiana anche la strada per l’estrazione del petrolio con le trivellazioni in Alaska, facendo in modo che la legge per la perforazione possa passare con i soli voti repubblicani.