Adesso che il gioco si fa duro, e che le primarie sono davvero alle porte, sono i grandi temi a dominare la campagna elettorale. Le grida sul declino dell’America dei candidati repubblicani, la battaglia contro le diseguaglianze economiche, e il come combatterle, che dividono Bernie Sanders e Hillary Clinton. Ma in New Hampshire chi andrà davvero a votare lo farà pensando soprattutto ad altro.

A quella che ormai è stata dichiarata un’epidemia, e che ha il suo epicentro proprio nel Granite state. Ovvero la crescita esponenziale del consumo, spesso mortale, dell’eroina negli Stati uniti.

Lo scorso ottobre, a Manchester, la città più popolosa del New Hampshire, in una sola settimana ci sono state ben 10 morti per overdose. E purtroppo ben pochi se ne sono stupiti, né in città né nei presidi medici dello Stato dove già allora ci si aspettava che il totale, per il 2015, arrivasse a 400 morti.

Il doppio di quanto era successo nel 2013, quando c’era stata una prima terribile impennata delle vittime di overdose. Del resto non va certo meglio altrove. Al confine con il New Hampshire, in Vermont, un altro stato del ricco Nord-est, l’eroina era già diventata allarme sociale due anni fa, costringendo il governatore democratico, Peter Shumlin, a dedicare nel gennaio del 2014 l’intero discorso «sullo stato dello Stato» (l’omologo del discorso presidenziale sullo stato dell’Unione) proprio all’eroina e ai suoi consumatori. Cresciuti dal 2.000 addirittura del 700 per cento.

Un mese dopo, a New York, moriva, stroncato da una overdose Philip Seymour Hoffman, l’amatissimo protagonista di The Master e della popolarissima saga Hunger games. E l’allarme era diventato nazionale.

Insomma si può ben capire come, quando dall’autunno scorso i candidati alle primarie hanno cominciato ad arrivare, uno dopo l’altro, in New Hampshire, di questo si sono trovati a parlare.

Quasi ogni domanda nelle town hall, le assemblee cittadine, riguardava infatti il dolore di parenti e amici e la richiesta su come combattere l’eroina e salvare le sue vittime.
Bernie Sanders, senatore del Vermont, e quindi fin troppo preparato, ha chiesto di distribuire, non solo negli ospedali, il naloxone, l’unico antidoto all’overdose. Hillary Clinton si è spinta più in là, ha presentato un piano di intervento pubblico, da finanziare con ben 10 miliardi di dollari, per aprire centri di disintossicazione. Due proposte che hanno trovato d’accordo, e qui sta la novità, anche i candidati repubblicani.

Certo, Donald Trump se l’è presa soprattutto con gli immigrati messicani, a suo parere tutti spacciatori, ma persino Ted Cruz si è commosso, raccontando la morte per eroina della sua sorellastra. E tutti, invece di invocare gli anni bui della criminalizzazione e della guerra alla droga di Nancy e Ronald Reagan, hanno chiesto di aiutare i tossicodipendenti. Un inaspettato cambio di rotta, per il partito da sempre abituato a invocare manette e dure sentenze.

Ma forse c’è un perché, come notava sarcastico già l’estate scorsa Andrew Cohen su The Atlantic, ovvero il fatto che questa volta consumatori e vittime hanno quasi tutti la pelle bianca.

Come raccontano infatti i dati del Center for Desease Control, oggi il 90 per cento degli eroinomani sono ragazzi bianchi (ma anche per la prima volta, ragazze) tra i venti e i trentanni, che non abitano a Chicago o New York, ma nei ricchi sobborghi degli Stati uniti. Molti di loro hanno cominciato a intossicarsi da adolescenti, ma legalmente.

Ovvero con l’Oxycontin o altri farmaci ricchi di morfina e oppiacei magari rubati ai loro genitori che se li procuravano grazie a dottori compiacenti. Poi, però la polizia e il governo federale sono intervenuti (costringendo ad esempio l’industria farmaceutica a produrre pillole che non si possono più facilmente ridurre a polvere da sniffare o iniettare in vena), e i giovani tossici hanno scoperto l’eroina.

Una droga decisamente più economica, e ormai accessibile ovunque grazie ai grandi cartelli colombiani e messicani. Come quello dei Sinaloa, che da qualche anno domina il mercato in New Hampshire e nell’intero Nord-est.

Così uno dopo l’altro i repubblicani hanno abbandonato la loro passione per la «tolleranza zero» di Rudolph Giuliani, sindaco di New York negli anni ’90, quando il crack devastava le comunità afro americane, e si sono scoperti fan di terapia e prevenzione.

In Ohio il governatore John Kasich, anche lui candidato (anche se senza speranza) alle primarie, ha firmato una legge per facilitare l’accesso al naxalone, mentre Rand Paul, il candidato libertarian del Kentucky, ha presentato in Senato il «Recovery enhancement for addiction act», che propone di curare gli eroinomani con la buprenorphina.

Ma è stata Kelly Ayotte, senatrice del New Hampshire, assieme ai suoi colleghi del Rhode Island e dell’Ohio, a firmare un progetto più ampio, che prevede di spendere denaro pubblico (solitamente una bestemmia per i repubblicani) per programmi prevenzione, educazione e riabilitazione.

Naturalmente dietro tanta ritrovata compassione ci sono anche interessi politici, magari a breve termine. A novembre infatti non si vota solo per la Casa bianca, si rinnova anche un terzo del Senato (compreso il seggio della senatrice Ayotte) e l’intera Camera dei deputati. Ormai da decenni sono proprio gli elettori bianchi, lo zoccolo duro, il cuore della forza del partito repubblicano.

E anche se ora non bastano più, come ha dimostrato nel 2012 la battaglia, persa, di Mitt Romney, senza di loro non si può nemmeno cominciare la partita.