Il nome è talmente altisonante – New Deal for Europe – che, alla luce dei contenuti, le cui grandi linee sono state presentate ieri a Parigi, non c’è solo delusione ma anche rabbia e una diffusa impressione di grande presa in giro. I ministri francesi e tedeschi del lavoro (Michel Sapin, Ursula von der Leyen) e dell’economia (Pierre Moscovici, Wolfgang Schäuble), sotto la presidenza di François Hollande si sono riuniti ieri grazie all’iniziativa del filantropo-miliardario tedesco-americano Nicolas Bergruen, per presentare un’Iniziativa europea per la crescita e l’occupazione destinata soprattutto ai giovani. A parte il fatto che c’è da chiedersi il perché ci debba essere un privato all’origine di questa iniziativa europea, l’Erasmus per tutti, l’Erasmus dell’alternanza sembra ben poca cosa rispetto al dramma della cosiddetta lost generation.

Sul tavolo i soldi sono sempre gli stessi: cioè i 6 miliardi di euro già stanziati per il periodo 2014-2020 al Consiglio europeo dello scorso febbraio. I giovani di meno di 25 anni disoccupati nell’Unione europea sono 6 milioni (3,6 milioni nella zona euro), cosa che significa più o meno 130 euro a testa l’anno per sette anni. Poco più di 900 euro in tutto, una cifra ridicola. Ma i quattro ministri, che si sono messi assieme per redigere un testo sul New Deal per promuovere il lavoro dei giovani, sperano nella Bei (Banca europea di investimenti), che potrebbe decuplicare questa cifra, «mettere a disposizione 60 miliardi di euro di prestiti supplementari a tassi attraenti entro il 2015, una parte dei quali ha vocazione ad andare a favore della piccola e media impresa».

La Bei però frena. Chiede progetti concreti, iniziative chiare per il futuro. E molti dei paesi che più soffrono di disoccupazione giovanile potrebbero per di più trovarsi con la bocca asciutta, visto che la Bei ha un rating AAA e deve fare attenzione a prestare in paesi con rating molto lontani dalla migliore votazione. È il caso di tutti i paesi del sud Europa, quelli dove il tasso di disoccupazione giovanile è più drammatico: mentre il tasso di disoccupazione è superiore al 20% in 18 paesi della Ue e in media del 24% nella zona euro, sale al 62,5% in Grecia, al 55,9% in Spagna, al 38,4% in Italia, al 38,3% in Portogallo, a cui si aggiunge l’Irlanda, con il 30,3%. In Francia la disoccupazione giovanile è al 26,5%. L’iniziativa, promossa dalla Germania, sembra fatta apposta per la Francia, unico paese che, pur avendo perso le tre A, resta ancora molto vicino alla massima notazione.

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Hollande ha ripreso ieri i termini dell’accordo dello scorso febbraio: bisogna dare «una garanzia per i giovani, che dopo quattro mesi dall’uscita dalla scuola devono vedersi proporre o un’offerta di lavoro, o un complemento di formazione, o un contratto da apprendista o uno stage». Questo programma «bisogna tradurlo in pratica, c’è urgenza, i fondi esistono», ha insistito Hollande, che sull’occupazione si gioca la presidenza. Sull’occupazione giovanile verrà centrato il Consiglio Ue di fine giugno. Il 3 luglio, poi, a Berlino, ci sarà una conferenza europea sulla disoccupazione, presieduta da Angela Merkel.

L’idea di fondo è esportare nell’Europa del sud le ricette tedesche, dove la disoccupazione giovanile è intorno all’8%. La ricetta è fatta, secondo Ursula von der Leyen, di «partnership pubblico-privato», per utilizzare meglio i fondi già stanziati attorno a tre poli: «permettere alle imprese un accesso a crediti a tassi di interesse bassi», «rafforzare l’apprendistato nelle imprese» anche con un sistema di scambi tipo Erasmus per i non o poco qualificati, e «aiutare i giovani a creare la loro propria impresa, incitandoli sul modello delle Junior-Firma tedesche.

La Germania, che si preoccupa della cattiva immagine in Europa del sud e della diffusione delle «Hitler bilder», vuole mostrarsi generosa. Alla Spagna, per esempio, ha proposto di accogliere ogni anno 5 mila giovani spagnoli senza lavoro, per formarli. In Spagna l’iniziativa ha suscitato reazioni contrastate, poiché c’è chi vi vede un modo per sopperire a basso costo alla mancanza di manodopera del paese con la demografia declinante.