Nelle parole di Nunzia De Stefano Nevia nasce dal suo bisogno di confrontarsi col passato, l’infanzia e l’adolescenza soprattutto, vissute con la famiglia nei campo container di Marianella dove in tanti a Napoli vennero «dislocati» dopo il terremoto del 1980. Ma come molte altre volte in Italia anche qui, la soluzione momentanea divenne per sempre. «La casa popolare non è mai arrivata e abbiamo imparato ad adattarci a quella situazione drammatica, cercando di ristabilire una quotidianità perduta e abituandoci a vivere dignitosamente anche con quel poco che avevamo. Oggi, a 40 anni da quel terremoto, i campi container ancora esistono e, in alcuni casi, come a Ponticelli, dove abbiamo girato Nevia, si sono trasformati in piccole comunità destinate ad accogliere disperazioni diverse, ormai da ogni angolo di mondo» racconta la regista che dunque nel suo film d’esordio guarda alla propria esperienza, e la rende il punto di partenza.

Nevia però – presentato negli Orizzonti della Mostra di Venezia e da domani su Sky cinema (ore 21,15 Sky cinema Due), on demand su Sky e in streaming su Now Tv – non è autobiografia, e non solo perché è l’autrice la prima a sottolinearlo: non sarebbe infatti riuscita a rendere il personaggio della protagonista – affidato alla fisicità intensa di Virginia Apicella, anche lei esordiente sullo schermo – così forte e insieme pieno di invenzioni se si fosse fermata alla soglia di sé. L’ostinazione, la rabbia, la voglia di conoscere il mondo, la forza, la dolcezza di Nevia, la diciassettenne protagonista, possono esplodere liberamente, toccare i luoghi del cuore, farsi resistenza di un femminile forse ancora inconsapevole ma che si oppone alle «regole» di quella comunità perché c’ è una narrazione che lo comprende, che ne accarezza i sussulti, ne ascolta i desideri.

MA CHI è Nevia? Un’adolescente che vive in un gruppo famigliare tutto femminile: ci sono lei, la nonna, la zia, e la sorellina di cui si prende cura e che obbliga a andare a scuola – «Ma perché non la fanno al pomeriggio» si lamenta la bambina che non ama svegliarsi.

PER LE DONNE lì le cose non sono facili dice a Nevia la nonna. Lo sa bene, per esperienza e per accettazione, e poi niente è facile nella sopravvivenza quotidiana: traffici, accordi, violenze più o meno evidenti, c’è sempre qualcuno che impone una «legge» qualsiasi essa sia, il comando, il controllo del territorio a cui si deve sottostare. Ma Nevia non ci sta, di fare la moglie – che è quello il suo «destino» – di un piccolo gangster qualsiasi per quieto vivere, denaro, lusso pacchiano, scambi o quant’altro non lo accetta, e si ribella.

È insomma un romanzo di formazione Nevia che del «genere» si impossessa per trasportarlo in una realtà riconoscibile e al tempo stesso straniata: quella periferia di Napoli divenuta un set fin troppo noto qui si fa altrove, forse perché la regista ne conosce per esperienza la natura più segreta, e sa come maneggiarla per restituirla spogliata di qualsiasi retorica.

ANCORA una volta è  l’equilibrio della distanza, di una prima persona che la regista orchestra e fa vivere con grazia, senza prepotenza, un po’ come una maga quando dosa gli ingredienti delle sue pozioni. Del resto: non sono la fantasia, l’immaginazione a dare a Nevia la parola con cui cercare un posto nel mondo?

Quasi come in una fiaba, o in un sogno di bambini, nel quartiere arriva il circo, la cui natura è quella dell’avventura e persino dell’esotismo. Forse non è così, non sempre almeno, ma lo strano tipo gentile che ne è il proprietario è diverso da tutti coloro che Nevia ha conosciuto, e le dà una possibilità. Non sono fasti né lustrini, ma cavalli da strigliare, un naso da clown per ridere come una Gelsomina di oggi, e la scoperta che oltre il quartiere possono esistere un mondo e una vita differenti. E mentre la seguiamo noi spettatori scopriamo invece il talento di una regista che sa come sorprenderci col suo sguardo.