Si capisce che aria tira quando il vicesindaco, Daniele Frongia fa spallucce ai giornalisti che gli chiedono se parteciperà al raduno serale sul litorale: «Qui ho riunioni per gli impianti sportivi fino a mezzanotte». E la linea di Virginia Raggi è ancora più netta: «Pensiamo prima ai romani». Solo dopo vengono gli equilibri interni. Il cerino in mano a Di Maio, che perde autorevolezza per «non aver capito» la mail con la quale gli si comunicava che l’assessora Muraro era indagata.

Il quasi-azzeramento della giunta Raggi si trasforma in una partita a poker tra il Campidoglio e i vertici nazionali del Movimento 5 Stelle. Tra bluff, rilanci e puntate al buio, la sindaca si attacca all’unica sicurezza: Roma non è Quarto, non siamo più nella stagione delle epurazioni e del trattamento-Pizzarotti. Dunque, respinge a muso duro le condizioni che, dopo la giornata drammatica di martedì scorso, avevano prodotto la tregua armata dentro al direttorio e tra i parlamentari.

Resta al suo posto l’assessore al bilancio Raffaele De Dominicis, che non è ancora stato nominato, la cui immagine pubblica porta la macchia dell’intermediazione dello studio legale Sammarco. «Per quanto mi riguarda non è mai stato in discussione», dice Raggi ai suoi. Rimane in sella anche Muraro, ritenuta dalla sindaca insostituibile. I più benevoli dicono per la sua competenza, i maligni per la sua funzione di raccordo con Manlio Cerroni, il ras della spazzatura. Quanto al ruolo del capo della segreteria politica, Salvatore Romeo, e del vicecapo di gabinetto, Raffaele Marra, Raggi fa sapere: «Sto facendo delle valutazioni». Ma, e questo sarebbe l’ennesimo smacco al diktat del giorno prima, ogni decisione verrà presa «al di là della posizione del direttorio M5S».

Come a dire: «Potrei cambiare ma nessuno me lo ha imposto». Sulla nomina di Romeo, Raggi attende che si esprima l’Autorità nazionale anticorruzione. Se gli uffici di Cantone non avessero nulla da dire, la sua posizione uscirebbe rafforzata. Quanto a Marra, resterà al Campidoglio anche se fuori dal gabinetto della sindaca. Si parlava di affidargli la delega alla sicurezza. Diventa invece il nuovo capo del dipartimento del commercio, una posizione non proprio secondaria. Lavorerà con l’assessore Alberto Meloni, che nel pomeriggio arrivando in Campidoglio minimizza ogni critica ai due funzionari discussi: «Sono bravi ragazzi». Meloni viene dalla new economy, ha avuto a che fare con la Casaleggio associati.

Il nodo resta il caso Muraro. Verrà sciolto una volta che la sindaca avrà visto le carte. Lo dice in una telefonata di circa dieci minuti con Grillo nel primo pomeriggio. Lo ribadisce nel video che annuncia la vittoria della sua linea. «In merito alla posizione di Muraro non c’è un fatto, un riferimento temporale o un luogo o una circostanza specifica per capire di che si tratta – spiega Raggi – Non c’è altra informazione. Lo ripeto: vogliamo leggere le carte. Ci auguriamo e chiediamo che arrivino quanto prima. Lo dico chiaro a tutti: saranno i pm a decidere se c’è una ipotesi di reato o si va verso una richiesta di archiviazione. Non i partiti o qualche giornale. Intanto, l’assessore deve continuare ad impegnarsi per ripulire la città. E si metta fine alle polemiche». Le opposizioni, tutte insieme, prendono parola per chiedere che la sindaca venga a riferire in Consiglio comunale.

Quanto era successo il giorno prima lasciava pensare ad una sorta di commissariamento della giunta romana. Tentativo fallito per le contraddizioni che sono cadute addosso al direttorio. Il movimentista Di Battista aveva interrotto il suo tour balneare in scooterone per raggiungere Di Maio e gli altri del direttorio alla Camera e partecipare a quella specie di gabinetto d’emergenza, resa dei conti drammatica che aveva lanciato l’ultimatum a Virginia Raggi. Ieri invece sono stati Di Maio e gli altri del direttorio a mettere da parte i veleni della giornata campale e unirsi sul palco di Nettuno a Di Battista, con Beppe Grillo a benedire la ritrovata concordia e restituire loro legittimità. L’organismo di cinque nominati (oltre a Di Maio e Di Battista, ci sono Carla Ruocco, Roberto Fico e Carlo Sibilia) che Grillo e Casaleggio tirarono fuori nel novembre del 2014 per uscire dall’ennesima tornata di epurazioni, traballa come non era mai accaduto.

Il Movimento 5 Stelle si era dotato di un corpo intermedio, un organismo frapposto tra l’orizzontalità della rete e la verticalità del potere assoluto dei due fondatori. Il direttorio si trova in mezzo al guado, contestato sia dagli eretici come Federico Pizzarotti («Il direttorio si è dimostrato inadeguato. È il momento di tornare coi piedi per terra», dice il sindaco di Parma) sia dagli ortodossi che ne contestano l’eccesso di indulgenza nei confronti di Di Maio.

È per questo che Raggi gioca il tutto per tutto, capisce che può forzare la mano e resistere alla soluzione che le era stata imposta, si rifiuta di innescare una marcia indietro che secondo alcuni doveva persino preludere al ritorno in sella del super-assessore Marcello Minenna. A Grillo non resta che «abbozzare», si risparmia il viaggio fino al Campidoglio, deve persino ospitare sul blog il messaggio di Raggi. Si limita ad un appello di circostanza all’«unità del Movimento». Poi va a Nettuno, liberandosi di riunioni e mediazioni trova una situazione che gli è congeniale: sale su un palco e impugna il microfono.