Benyamin Netanyahu ostenta serenità. Il fatto che sarà incriminato per corruzione, abuso di fiducia e frode non lo preoccupa. Ieri ha accolto sorridente il presidente liberiano ed ex stella del calcio mondiale George Weah, lasciandosi andare a qualche battuta. Ma dietro le quinte il premier israeliano suda freddo. Le accuse che gli sono state rivolte giovedì dal procuratore generale Avichai Mandelblit, non sono insignificanti, «un castello di carte», come vorrebbe lasciar credere agli israeliani. Nella sua relazione di 57 pagine, Mandelblit lo ritiene responsabile di interventi che hanno garantito affari per circa 500 milioni di euro al magnate delle telecomunicazioni Shaul Elovich, in cambio di una copertura mediatica favorevole da parte del portale Walla, il secondo sito d’informazione più letto in Israele. In questa vicenda, nota come il “Caso 4000”, Netanyahu sarà rinviato a giudizio per corruzione. Negli altri due casi in cui è coinvolto le accuse sono meno gravi ma ugualmente preoccupanti.

Il procedimento penale avviato dal procuratore prenderà anni, spiegano i media locali. Però l’incriminazione, come aveva previsto tutti, ha avuto un impatto immediato sulla campagna elettorale del premier e del suo partito, il Likud. I sondaggi diffusi ieri sono impietosi. Quello pubblicato dal giornale Maariv dava il partito centrista “Blu e bianco” dell’ex capo di stato maggiore Benny Gantz a 37 dei 120 seggi alla Knesset, mentre il Likud calerebbe a 25. Fino a qualche giorno fa, i due partiti erano spalla a spalla, con 30-32 seggi a testa. Si comincia a parlare della futura coalizione di governo e “Blu e bianco” già mostra il suo volto di lista centrista solo in apparenza e di destra nella sostanza. Uno dei suoi principali esponenti, l’ex ministro della difesa Moshe Yaalon, ha detto che il suo partito proverà a formare una coalizione con «il Likud, ma senza Netanyahu». Solo in una seconda fase si rivolgerebbe ai laburisti. Il Likud ha escluso questa possibilità ma non si può escludere che, tra qualche settimana, parte di esso si dica disposto lasciare il premier incriminato pur di restare al governo.