Descrivere le elezioni amministrative israeliane di martedì come un segno della rinascita dei laburisti, dati in forte calo a livello nazionale da tutti i sondaggi, è esagerato. Certo il laburista Ron Huldai si è riconfermato per l’ennesima volta primo cittadino di Tel Aviv e ad Haifa un’altra laburista, Einat Kalish-Rotem, sarà la prima donna a guidare una grande città israeliana. Ma una rondine non fa primavera, neppure due, e la soddisfazione stampata ieri sul volto del leader del Labour Avi Gabbai non era giustificata. Gabbai comunque ha abbastanza ragione quando parla di sconfitta del partito di maggioranza Likud (destra) guidato del premier Netanyahu. Dalle amministrative il Likud non ha visto uscire vincente alcuno dei suoi candidati nelle città più importanti. La battuta d’arresto più clamorosa ha dovuto incassarla proprio a Gerusalemme – che per il diritto internazionale non è la capitale di Israele -, da molti anni feudo della destra israeliana. Lo spoglio dei voti ha clamorosamente visto Zeev Elkin, il candidato appoggiato da Netanyahu, dal sindaco uscente Nir Barkat e sponsorizzato da ricchi imprenditori, piazzarsi solo al terzo posto quando tutti i sondaggi lo davano per vincente. Al ballottaggio, il 13 novembre, andranno l’indipendente Ofer Berkovitch, punto di riferimento della porzione laica degli abitanti di Gerusalemme, e Moshe Lion, un ebreo osservante sostenuto dal ministro della difesa Lieberman e da due partiti religiosi ortodossi. Per Netanyahu quella appena trascorsa non sarà stata la notte di Halloween piena di incubi però il primo ministro israeliano dovrà tenere conto dell’esito del voto. Il prossimo anno si vota per il rinnovo della Knesset e i segnali per il suo partito non sono rassicuranti.

I 70mila voti presi da Berkovitch, 35enne leader del partito Hitorerut (Risveglio) che ha fatto della lotta «alle imposizioni dei religiosi» il tema centrale della sua campagna elettorale, sono tanti in una città dove la religione e i religiosi pesano contano sempre di più. Tenendo presente anche che la percentuale dei votanti a Gerusalemme ha superato di poco il 50% e che oltre un terzo degli elettori, i palestinesi, come in passato hanno boicottato le urne non riconoscendo la sovranità di Israele su tutta la città e l’occupazione della zona araba (Est). I media locali non hanno mancato di sottolineare la sua performance superiore a qualsiasi aspettativa. Berkovitch tuttavia sa che le sue possibilità di vittoria saranno nulle se non riuscirà a portare dalla sua parte proprio i suoi avversari, i religiosi ultraortodossi (haredim) che, almeno sulla carta, dovrebbero preferire il suo avversario. E così Berkovitch ieri si è già mostrato un po’ meno laico e ha inviato un «messaggio di unità tra diversi settori della popolazione» e di apertura «alla cooperazione con gli ultraortodossi», attraverso la radio dei nazionalisti religiosi, Arutz Sheva. Il suo obiettivo è conquistare i voti ottenuti da Yossi Deitch, candidato degli hassidici di Agudat Yisrael, giunto quarto martedì. E in nome di questa alleanza Berkovitch potrebbe accettare, tra le altre cose, la chiusura serale del mercato di Mahane Yehuda, divenuto un hotspot di vita notturna a Gerusalemme sulla quale insistono i sostenitori di Agudat Israel (e non solo loro). Moshe Lion da parte sua è pronto a concedere molto di più agli ultraortodossi. Diventerà sindaco israeliano di Gerusalemme chi offrirà di più ai religiosi e si dirà pronto ad attuare ulteriori restrizioni a danno dei laici, sempre più convinti che l’unica soluzione è trasferirsi in un’altra città.