Israele ricambia i regali ricevuti da Donald Trump. Una nuova colonia ebraica, che sarà costruita sulle alture del Golan, territorio siriano sotto occupazione israeliana dal 1967, porterà il nome del presidente americano. E’ un ringraziamento all’Amministrazione Usa che dal mese scorso considera il Golan parte integrante dello Stato ebraico. E come per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele che ha fatto il 6 dicembre 2017, anche nel caso del Golan Trump ha infranto la legalità internazionale. Per questo Israele sente di dover ricambiare con generosità. Senza dimenticare che il regalo del Golan la Casa Bianca l’ha fatto nel pieno della campagna elettorale israeliana dando una bella mano alla riconferma del premier di estrema destra e suo stretto alleato Benyamin Netanyahu.

Subito dopo la fine della Pasqua ebraica, Netanyahu chiederà al governo di approvare la costruzione del nuovo insediamento coloniale sul Golan dal nome “Trump”. «Tutti gli israeliani – ha spiegato in un video sui social – si sono profondamente commossi quando il presidente Trump ha preso la sua storica decisione di riconoscere la sovranità israeliana sulle Alture del Golan».

Fa bene Netanyahu a mostrare la sua gratitudine a Trump. Certo negli ultimi cinque o sei decenni tutti i presidenti americani, compreso Barack Obama, hanno fatto del sostegno a Israele il pilastro delle loro politiche in Medio oriente. Ma nessuno come Trump era arrivato al punto da violare sfacciatamente il diritto e le risoluzioni internazionali su questioni centrali come lo status di Gerusalemme e il Golan. E la Casa Bianca pare pronta a riconoscere anche l’annessione a Israele di gran parte della Cisgiordania palestinese sotto occupazione annunciata da Netanyahu in campagna elettorale. Il “piano di pace” Usa per il Medio oriente, noto come l’Accordo del secolo, nega ai palestinesi la libertà e l’indipendenza e lascia a Israele il controllo di tutta la Palestina storica.

La presidenza Trump però non durerà in eterno. Il tycoon punta al secondo mandato ma la vittoria non è garantita. E gli avversari democratici guardano a Netanyahu con occhi ben diversi dai suoi. Uno di questi, il senatore del Vermont Bernie Sanders, che tanti consensi aveva ottenuto durante le passate primarie democratiche poi vinte da Hillary Clinton, qualche giorno fa ha definito “razzista” il premier israeliano. «Non sono anti-Israele ma il fatto è che Netanyahu è un politico di destra che penso stia trattando il popolo palestinese in maniera estremamente ingiusta», ha detto Sanders, un ebreo, nel corso di un dibattito alla Cnn. «La mia non è una posizione radicale», ha proseguito, «l’obiettivo deve essere quello di cercare di unire le persone e non solo sostenere un Paese, che è ora gestito da un governo di destra, oserei dire razzista…Gli Stati Uniti devono fare i conti non solo con Israele ma anche con il popolo palestinese». Anche un altro aspirante candidato democratico alla Casa Bianca, Beto O’Rourke, ha bollato come razzista Netanyahu.