Ci sarà anche Benyamin Netanyahu alla Marcia di Parigi, assieme al ministro degli esteri Lieberman e a quello dell’economia Bennett. Israele sarà molto presente in Francia. E non solo perchè erano ebrei i quattro ostaggi uccisi nel supermercato kosher. Il premier israeliano intende, e ci sta riuscendo, trascinare il conflitto con i palestinesi, la questione dello Stato di Palestina, il confronto militare con il movimento islamico Hamas, nel discorso della “lotta internazionale al terrorismo”. Con l’obiettivo di rappresentare le aspirazioni palestinesi alla libertà e a uno Stato indipendente, e persino la recente richiesta di adesione della Palestina alla Corte Penale Internazionale, come una minaccia diretta all’esistenza di Israele. Una mossa in effetti non nuova da parte di un premier israeliano, in occasione di gravi attentati di matrice islamista in Occidente.

 

Dopo l’11 settembre Ariel Sharon con le Torri Gemelle appena crollate, disse al Segretario di stato Colin Powell «Ciascuno ha il suo Osama Bin Laden e il nostro si chiama Yasser Arafat», in riferimento al leader palestinese a quel tempo alla guida dell’Anp. Sharon provò a cancellare l’idea del conflitto israelo-palestinese legato alla terra, all’occupazione, alla colonizzazione, alla negazione di diritti fondamentali. Spiegò in quei giorni che la Seconda Intifada palestinese era parte di un jihad contro l’esistenza di Israele portato avanti da Arafat e dai suoi uomini. Naturalmente non esisteva alcun legame tra il qaedismo che aveva preso di mira gli Stati Uniti e il conflitto israelo-palestinese cominciato decenni prima. Eppure le parole di Sharon raccolsero consensi nei Paesi occidentali. Arafat comprese il pericolo: dichiarò subito la sua condanna degli attentati di al Qaeda e donò sangue per i feriti americani. Non servì a nulla. Quando, qualche mese dopo, Sharon confinò Arafat, di fatto, nel suo ufficio di Ramallah, per una parte non insignificante del mondo Arafat era solo un terrorista e non più il leader di un popolo in lotta per i suoi diritti.

 

Netanyahu prova a ripercorrere la strada di Sharon per silurare le initiative diplomatiche del presidente palestinese Abu Mazen e fermare i riconoscimenti, peraltro simbolici, dello Stato di Palestina da parte dei parlamenti europei. Tenta di cavalcare l’islamofobia che attraversa il Vecchio Continente – ancora più diffusa ed esplicita rispetto al 2001 – esortando i leader occidentali ad aderire una campagna internazionale contro il terrorismo che, insiste, deve includere la lotta contro Hamas. E anche sanzioni contro l’Anp di Abu Mazen colpevole di aver dato vita a un governo di unità nazionale assieme agli islamisti, impegnati la scorsa estate in un conflitto armato con Israele durato 50 giorni (2.200 morti palestinesi, 72 israeliani quasi tutti soldati). «L’obiettivo del terrorismo è la distruzione della cultura della libertà, che rappresenta la base delle società libere moderne…Il terrorismo si combatte sia con mezzi fisici, sia con un approccio morale.. Isis, Boko Haram, Hamas, al Shabab, Al Qaeda, Hezbollah, tutti sono guidati dallo stesso odio e fanatismo sanguinario», ha detto Netanyahu dopo gli attentati in Francia, paragonando i lanci di razzi di Hamas agli attacchi dei jihadisti a Parigi. Ieri sera il premier ha esortato gli ebrei francesi a lasciare il loro Paese e a trasferirsi in Israele. «Il primo ministro israeliano sta portando avanti un tentativo senza alcuna possibilità – ha detto al manifesto l’analista Ghassan Khatib – l’Europa è consapevole della natura e dei motivi del conflitto israelo palestinese, non si farà raggirare, Netanyahu non avrà successo, è una mossa destinata a fallire».

 

Khatib è un po’ troppo ottimista. L’atmosfera in Europa è, almeno in parte, favorevole alla strategia del primo ministro israeliano. E’ già passata inosservata, ad esempio, la condanna dell’attacco a Charlie Hebdo giunta ieri dalla leadership di Hamas che afferma «che la differenza di opinioni e di pensiero non può giustificare l’omicidio». E la destra italiana è subito intervenuta in appoggio alla linea di Netanyahu. «Sarebbe un grave errore della Camera e della sua presidente procedere all’esame della mozione presentata da Sel sulla Palestina (per il riconoscimento, ndr) mentre la Francia e il mondo sono ancora sotto shock per l’esplosione di una brutalità primitiva contro ogni valore di umanità», ha ammonito ieri Mariastella Gelmini, vice capogruppo vicario di Forza Italia alla Camera.