Mai come in questi giorni la destra europea e quella israeliana parlano la stessa lingua. Sembrava di ascoltare il leader ungherese Viktor Orbán quando domenica il premier israeliano Netanyahu, rispondendo all’appello del capo dell’opposizione Yitzhak Herzog per l’ingresso in Israele di una parte dei profughi siriani, ha spiegato che il Paese è «troppo piccolo» per accoglierli. «Israele è un piccolo Paese – ha detto Netanyahu alla riunione del governo – e non abbiamo la profondità geografica e demografica (per assorbirli). Ecco perchè dobbiamo controllare le nostre frontiere». Il Libano, che è più piccolo di Israele, ne ha accolti un milione sino ad oggi. «Non lasceremo che Israele sia sommerso da un’ondata di immigrati clandestini e attività terroristiche», ha aggiunto Netanyahu. Sullo sfondo, pesanti come un macigno, le considerazioni dell’opinionista Gideon Levy che, su Haaretz, ha scritto che «Israele non ha nessun diritto di stracciarsi le vesti per la morte di Aylan Kurdi (il piccolo profugo curdo siriano morto in mare, ndr) né di singhiozzare per la foto, né di fingere shock, né di offrire aiuto e sicuramente non di fare prediche all’Europa». «Vi è un territorio disastrato che Israele ha creato nel suo cortile (Gaza,ndr), un’ora e un quarto di macchina da Tel Aviv», ha aggiunto Levy.

 

Herzog, aveva lanciato il suo appello dopo una conversazione al telefono con Kamal al Labwani, un rappresentante dell’opposizione anti Bashar Assad che ha visitato Israele, mantiene rapporti stabili con Tel Aviv e in passato ha offerto la cessione definitiva allo Stato ebraico del Golan siriano in cambio di un intervento delle forze armate israeliane a sostegno della galassia di forze islamiste radicali, qaediste e jihadiste che combattono contro il governo di Damasco. Naturalmente Herzog e il suo interlocutore al Labwani, esponente della “Siria futura”, non hanno preso in alcuna considerazione l’ingresso di altri profughi, storici, quelli palestinesi, che attendono dal 1948, forti di una risoluzione dell’Onu, la 194, di ritornare ai villaggi e alle città da cui furono cacciati o costretti a fuggire. Ai profughi palestinesi ha pensato invece il presidente dell’Anp Abu Mazen che ha rivolto un appello all’Onu e alla comunità internazionale affinchè facciano pressioni su Netanyahu e il suo governo e lasci entrare in Cisgiordania i rifugiati palestinesi fuggiti da Yarmouk e altri campi a causa della guerra civile siriana. In casa palestinese queste parole hanno suscitato discussioni. Mentre ad alcuni l’idea del presidente è apparsa una soluzione credibile, in linea con il diritto internazionale, altri invece l’hanno interpretata come una rinuncia indiretta al “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi ai loro centri abitati d’origine (ora in Israele), in accoglimento alla visione di un mini Stato di Palestina (a Gaza e in alcune porzioni della Cisgiordania) contenitore di tutti i palestinesi (forse anche quelli che oggi vivono in Galilea) accanto a Israele Stato del popolo ebraico.

 

Intanto, ancora a proposito di migranti e profughi di guerra, Netanyahu ha annunciato che Israele inizierà a costruire una barriera alla frontiera con la Giordania, il quarto Muro eretto dallo Stato ebraico. L’annuncio dei lavori della barriera rappresenta l’ultima decisione presa nel quadro della politica di rigetto dei migranti e richiedenti asilo, in particolare quelli africani (quasi tutti sudanesi ed eritrei), adottata dagli ultimi tre governi israeliani guidati da Netanyahu. L’autorizzazione del gabinetto di sicurezza era arrivata già alla fine di giugno, in accoglimento della raccomandazione dei servizi di sicurezza di estendere la barriera che divide Israele dall’Egitto anche al confine giordano, in modo da proteggere il nuovo aeroporto di Timna, a 12 km da Eilat. La parte del Muro già autorizzata correrà per 30 km da Eilat a nord, ma Netanyahu vorrebbe allungarla sino alle Alture del Golan. 240 km di confine tra Israele e Giordania più i 95 km cisgiordani tra i Territori palestinesi occupati e la Giordania. Così, con la motivazione della difesa da possibili infiltrazioni di cellule jihadiste e di profughi, Israele si terrebbe tutta la Valle del Giordano.