«Non ci spaventa passeggiare per Hebron, perché gli arabi (i palestinesi) sanno che non facciamo concessioni. Dopo ogni incidente reagiamo nel modo giusto». A queste parole, pronunciate nel 1991, seguivano le immagini del rabbino Moshe Levinger che sparava con una pistola. Era questo lo spot elettorale del partito di estrema destra “Terra e Torah”, guidato dallo stesso Levinger, il primo colono israeliano ed entrare in Cisgiordania pochi mesi dopo l’occupazione militare nel giugno del 1967. Quel testo e quelle immagini rappresentavano alla perfezione un uomo che, con la mitraglietta Uzi sempre a portata di mano, ha creduto fino alla sua morte, avvenuta sabato scorso all’età di 80 anni, di essere la “spada della redenzione di Eretz Israel”, la biblica Terra di Israele. Levinger, fedele agli insegnamenti dei rabbini Kook padre e figlio, i teorici del sionismo religioso, nel 1968 entrò a Hebron, fingendosi un cittadino svizzero, sostenendo di voler pregare nella Tomba dei Patriarchi durante la Pasqua ebraica. «Rimarremo una decina di giorni, forse un po’ di più», disse in inglese al proprietario di uno stabile palestinese. Poi a bassa voce aggiunse in ebraico «… resteremo fino all’avvento del Messia». Non sarebbe più andato via da Hebron. E con lui e dopo di lui arrivarono altri coloni, e poi ancora altri. E al governo in Israele a quel tempo non c’era la destra ma il partito laburista.

 

Con il pensiero rivolto a Levinger e alle sue “gesta”, domenica migliaia di nazionalisti israeliani, in gran parte giovani simpatizzanti o attivisti del Likud, di Casa ebraica e di altri partiti di estrema destra, giunti anche dalle colonie, hanno celebrato il “Giorno della riunificazione di Gerusalemme” – l’occupazione della zona araba della città nel 1967 – riunendosi alla Porta di Damasco, per poi dirigersi nel cuore del quartiere islamico della città vecchia. Sventolando centinaia di bandiere israeliane, hanno scandito slogan minacciosi contro gli “arabi”. Alcuni giornalisti palestinesi hanno denunciato aggressioni. Tra questi il cameraman della tv francese TF1, Jamil Kadamani: «All’inizio erano solo slogan e urla, poi hanno cominciato a lanciarmi contro i bastoni delle bandiere, sono stato costretto a scappare». E come accade sempre nel “Giorno della riunificazione di Gerusalemme” (celebrato secondo la data sul calendario ebraico), anche quest’anno i commercianti palestinesi hanno dovuto chiudere i negozi per evitarsi brutte sorprese. «Non ho voluto correre rischi – racconta Hatem, che vende souvenir a Bab Qattanin – quando passano i coloni i danni per noi sono sicuri al cento per cento. Meglio chiudere». Le manette in ogni caso domenica sono scattate solo per i palestinesi, almeno cinque, accusati di aver colpito due poliziotti.

 

Si percepiscono ancora più forti i coloni e i nazionalisti israeliani, ora che il premier Netanyahu ha formato il suo governo, il più orientato a destra degli ultimi 20-30 anni. Comprensibile se si considera che anche il primo ministro e il capo dello Stato Reuven Rivlin hanno esaltato la figura e “l’opera” di Moshe Levinger. Rivlin si è precipitato a Hebron per partecipare alle esequie. «Avevi una fede ardente, non eri un uomo da compromessi», ha detto il presidente di Levinger, con tono affettuoso. Eh sì, Levinger non era fatto per i compromessi. Netanyahu e Rivlin hanno tralasciato il particolare del grilletto facile che portò il leader dei coloni di Hebron ad uccidere nel 1988 un palestinese. La sua auto fu colpita da alcune pietre, Levinger non ci pensò un attimo, fece retromarcia e aprì il fuoco in direzione del centro abitato. Uccise un commerciante di scarpe, Kayed Salah, e ferì gravemente un suo cliente, Ibrahim Bali. Fu condannato a cinque mesi di carcere, ne scontò tre.

 

Oggi gli eredi di Moshe Levinger sono al governo, in posizione di forza, in grado di imporre la loro agenda. Il corteo che domenica ha attraversato la città vecchia di Gerusalemme, ha trovato ad attenderlo alla spianata del Muro del Pianto diversi esponenti del governo che hanno ribadito l’impegno solenne a mantenere tutta la città sotto controllo israeliano. Rivlin invece vede una Gerusalemme di tutti i suoi abitanti, anche gli arabi, ma sotto totale sovranità israeliana. Netanyahu da parte sua ha proclamato che «Gerusalemme è sempre stata la capitale del popolo ebraico. Gerusalemme non sarà mai la capitale di alcun altro popolo, non sarà mai divisa». E tanto per mettere le cose in chiaro con Usa e Unione europea che gli chiedono flessibilità, Netanyahu ha nominato il ministro Silvan Shalom, apertamente contrario allo Stato palestinese, responsabile per eventuali negoziati con il presidente dell’Anp Abu Mazen. «Non ci saranno pace e stabilità in Medio Oriente senza Gerusalemme est come capitale dello Stato palestinese», ha risposto Nabil Abu Rudeina, il portavoce di Abu Mazen.

(Lo spot elettorale di Moshe Levinger alle politiche del 1992)