«Quale è stata la reazione qui ad Arara?…Silenzio e preoccupazione, qualche amico mi ha chiesto che cosa sarà di noi adesso che il governo ha approvato quella legge. Alcuni sperano ancora che sia respinta dalla Knesset». Parla senza tradire particolare emozioni Mohammed Kabaha, attivista palestinese nella zona di Wadi Ara, nella bassa Galilea, adiacente alla Cisgiordania. Un’area che ad oltre 60 anni dalla proclamazione di Israele resta ancora a maggioranza palestinese. Perciò è un’area “a rischio”, dicono da queste parti. Se un giorno Israele e Olp dovessero mettersi d’accordo su scambi territoriali, nel quadro di un accordo finale (assai improbabile), Wadi Ara con le sue decine di migliaia di abitanti palestinesi, sarà la prima zona che qualsiasi governo israeliano offrirà al futuro Stato di Palestina in cambio delle porzioni di Cisgiordania dove sono situate le principali concentrazioni di colonie ebraiche. Uno scenario che, temono i palestinesi della Galilea, potrebbe rivelarsi concreto con la legge approvata domenica scorsa dal governo Netanyahu, volta a definire Israele “Stato della nazione ebraica”.

 

A differenza di molti suoi amici e conoscenti, Mohammed Kabaha, guarda le cose da un altro angolo. «Penso che lo scenario del transfer sia possibile. Tuttavia – aggiunge – dobbiamo concentrarci sulle cose immediate e credo che questa nuova legge stia mostrando al mondo intero il vero volto di Israele, ben diverso da quello che cercato di dare in tutti questi anni. E noi palestinesi (in Israele) dobbiamo essere pronti ad usare politicamente questa situazione per mettere fine alle discriminazioni del presente e del futuro». Sulla stessa lunghezza d’onda è il deputato Ahmad Tibi che, l’altra sera, commentava che «Tutti ora si concentrano su questa nuova legge ma la definizione sino ad oggi conosciuta di Israele, Stato ebraico e democratico, già era un problema serio per le minoranze, per chi non fa parte della maggioranza (ebraica) del Paese». Simili le considerazioni che giungono da varie ong ed associazioni israeliane, non solo arabe anche ebraiche, che, inoltre, cercano di sottolineare che sono diversi i punti critici della nuova legge. Non ultimo quello che proclama fonte di legge primaria il diritto religioso ebraico, superiore anche ai principi della democrazia. In sostanza, dicono gli attivisti dei diritti umani e civili, la legislazione e le sentenze dei giudici dovranno ispirarsi maggiormente ai valori ebraici, sarà sostenuta di più l’educazione ebraica, per impedire che Israele diventi uno Stato di tutti i suoi cittadini.

 

Nessuno sa con quale testo finale la legge arriverà alla Knesset. Netanyahu ha annunciato domenica che medierà tra le varie posizioni per garantire da un lato che Israele sia definito “Stato della nazione ebraica” e dall’altro che sia assicurata l’uguaglianza di tutti i cittadini. Il carattere democratico, ha argomentato, è radicato. Invece il carattere ebraico, secondo il premier, anche all’interno di Israele, sarebbe messo in discussione dalla minoranza araba e da diverse ong. Netanyahu sostiene che gli arabo israeliani (come sono definiti ufficialmente i cittadini palestinesi, 20% della popolazione) intenderebbero creare propri Stati in Galilea e nel Neghev. «Quello dello Stato nello Stato è un pretesto creato ad arte per giustificare certe decisioni politiche figlie del sionismo più estremista – sostiene Maha Masri, una insegnante di Acri – tutti sanno che la minoranza araba in Israele vuole solo uguaglianza a tutti i livelli con i cittadini ebrei». Il disegno di Netanyahu e del ministro ultranazionalista Naftali Bennett, secondo l’insegnante, «è quello di fare del futuro Stato di Palestina (che potrebbe un giorno nascere in Cisgiordania e Gaza, ndr) un contenitore di tutti i palestinesi e di costruire un Israele senza più arabi al suo interno». Secondo altre interpretazioni, la nuova legge rappresenterebbe anche una risposta indiretta alla Corte Suprema che nei mesi scorsi ha annullato una norma anti-immigrazione in Israele. In futuro i giudici avranno le mani legate.

 

Ai vertici dell’establishment politico ed istituzionale israeliano il dibattito si concentra sullo scontro tra Netanyahu e i sei ministri centristi capeggiati da Tzipi Livni e Yair Lapid contrari al suo progetto. La legge solleva talmente tanti dubbi di legittimità democratica che persino due esponenti politici dichiaratamente sionisti come Livni e Lapid, si dicono non disposti ad appoggiarla e si aspettano che il premier consegni alla Knesset un testo molto più morbido rispetto a quello approvato domenica. Forti perplessità hanno manifestato anche il Procuratore generale dello Stato Yehuda Weinstein e i capi dell’opposizione di centrosinistra.

 

E’ probabile, spiegano gli analisti, che Netanyahu stia cercando di guadagnare il consenso della parte più oltranzista della destra israeliana, perchè è uscito “non vittorioso” dall’offensiva contro Gaza della scorsa estate. Bennett lo tiene sotto pressione nei sondaggi. «Si parla con insistenza di elezioni anticipate e Netanyahu si rivolge al suo elettorato, al suo partito, facendo leva sui sentimenti più nazionalistici allo scopo di guadagnare voti» ,ci spiega il giornalista Shimon Schiffer di Yediot Ahronot. «E i provvedimenti nei confronti dei palestinesi che (il premier) ha varato in questi giorni – aggiunge – e la nuova legge godono dell’appoggio di larga parte degli israeliani, sempre più spostati a destra».