Il costo più alto dell’annessione a Israele di porzioni di Cisgiordania palestinese potrebbe essere economico, scriveva David Rosenberg l’altro giorno su Haaretz. L’analista poneva l’accento sui rischi che comporterà per Israele la realizzazione del progetto di Benyamin Netanyahu. Certo, dice Rosenberg, ci saranno proteste palestinesi, i paesi arabi del Golfo congeleranno l’avvicinamento a Israele e pioveranno le condanne internazionali. Tuttavia, aggiunge, la situazione sarà gestibile per il governo israeliano. La vera criticità, spiega Rosenberg, è un possibile collasso dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) sotto l’urto di una terza Intifada palestinese (improbabile) o in conseguenza della sua profonda crisi finanziaria. In quel caso l’annessione si rivelerà disastrosa anche per Israele. Vero.

 

L’Anp di fatto è funzionale all’interminabile occupazione militare israeliana. Non in grado – per l’opposizione di Israele e la mancata attuazione delle risoluzioni internazionali – di evolversi in uno Stato palestinese indipendente e realmente sovrano, l’Anp dalla firma degli Accordi di Oslo, 27 anni fa, sgrava Israele dall’obbligo di dover fornire, in quanto forza occupante, servizi a cinque milioni di palestinesi in Cisgiordania e Gaza. E nel farlo impiega fondi palestinesi e donazioni internazionali (640 milioni di dollari previsti nel 2020) e non anche risorse dell’occupante. Senza dimenticare la centralità della cooperazione tra i servizi di sicurezza palestinesi e israeliani. Per Israele è essenziale che l’Anp che continui ad esistere anche dopo l’annessione della Cisgiordania.

 

La sfida per Netanyahu perciò è come attuare il suo piano e fare in modo che l’Anp resti in piedi. Forse lo preoccupa la decisione presa dal presidente palestinese Abu Mazen di tagliare ogni ponte con Israele e gli Usa in reazione al progetto di annessione. L’amministrazione autonoma palestinese infatti non ha possibilità di esistere senza Israele. Gli Accordi di Oslo furono concepiti con questo fine. E il coronavirus ha aggravato un quadro già molto precario. Nonostante i tagli alle spese, l’Anp ha registrato a maggio un deficit di 248 milioni di dollari e il premier Mohammad Shtayyeh ha annunciato una riduzione fino al 50% del budget annuale. Il bilancio di emergenza dell’Anp prevede un disavanzo di 1,4 miliardi di dollari nel 2020. Un buco incolmabile.

 

Raja Khalidi

L’economista Raja Khalidi, direttore del Palestine Economic Policy Research Institute, spiega al manifesto che la previsione della Banca mondiale di una contrazione dell’11% dell’economia palestinese è ottimistica. «Dobbiamo aspettarci un calo di almeno il 20% del Pil e un aumento fino al 50% della disoccupazione entro la fine dell’anno», avverte. Ramallah comunque prova a resistere al piano di Netanyahu. Per questo ha annunciato che non accetterà più il trasferimento mensile da Israele di circa 170 milioni di dollari (60% del budget dell’Anp). Si tratta di fondi palestinesi, generati da dazi e tasse sull’import/export dalla Cisgiordania, soggetti a trattenute punitive decise dal governo israeliano. La crisi di liquidità è gigantesca. I dipendenti pubblici, quasi 200mila, da mesi ricevono solo parte dello stipendio e rischiano di perderlo del tutto. E il drastico calo dei consumi sta affondando il commercio. «Siamo tornati indietro di venti anni – ricorda Raja Khalidi – quando, dopo l’inizio della seconda Intifada, le offensive militari israeliane provocarono un calo del Pil del 40%. Nella crisi attuale – prevede – la sostenibilità dell’Anp è garantita solo per i prossimi mesi».