Benyamin Netanyahu porta le sue vicende giudiziarie nella campagna elettorale. Con l’obiettivo di non dare le dimissioni nel caso in cui il procuratore generale Avichai Mandelblit, come ha rivelato il quotidiano Haaretz, il mese prossimo deciderà, con ogni probabilità, di rinviarlo a giudizio per corruzione in tre distinte inchieste. Deludendo le attese di chi, per alcune ore, ieri è rimasto in allerta dopo l’annuncio che avrebbe fatto una «dichiarazione clamorosa» al telegiornale principale della sera, il leader del partito Likud e capo del governo di destra radicale al potere in Israele, ha detto di volere un confronto in diretta televisiva con i testimoni dell’accusa. «Oggi vi svelo che durante le indagini ho chiesto un confronto diretto con la pubblica accusa, ma mi è stato negato. Ho chiesto di nuovo. Mi è stato nuovamente negato», ha detto con il volto segnato dalla tensione. Un colpo di teatro per passare agli occhi dell’opinione pubblica non come un primo ministro sospettato di corruzione bensì come un semplice cittadino vittima di una macchina giudiziaria crudele, pronta a condannarlo in ogni caso. Netanyahu fa solo propaganda elettorale», ha commentato con un tweet Ayman Odeh, leader della Lista unita araba.

Netanyahu ha le carte in regola per riconfermarsi alla guida di Israele quando il prossimo 9 aprile il paese andrà al voto. Le prossime decisioni del procuratore Mandelblit però gli tolgono il sonno. Il suo entourage protesta, si proclama sorpreso, anzi sconvolto, dalla presunta velocità del procedimento in corso e teorizza complotti politici. Il leader israeliano avrebbe voluto la decisione di Mandelblit dopo le elezioni. In quel caso, rafforzato dall’esito del voto popolare, avrebbe il consenso necessario per affrontare un eventuale processo senza doversi dimettere. Al contrario, se l’incriminazione dovesse arrivare prima del voto, il 51% degli israeliani, secondo un sondaggio, vuole che si dimetta subito.

I guai giudiziari sono l’unico ostacolo sulla strada dell’ennesima vittoria elettorale di Netanyahu che punta a diventare il premier israeliano politicamente più longevo, persino più del “padre della patria” David Ben Gurion. I rivali nella coalizione di destra al potere e i leader dell’opposizione non appaiono in grado di impensierirlo e di sfidare il Likud, attuale forza di maggioranza relativa. La “Nuova destra” il partito appena nato capeggiato dai ministri nazionalisti religiosi, Naftali Bennett e Ayelet Shaked, è solo piccola spina nel fianco del Likud: con i suoi 11 seggi indicati dai sondaggi è ben lontano dai 30 attribuiti al partito di Netanyahu. Anche il “bello” della politica israeliana, il giornalista televisivo Yair Lapid, capo del partito centrista Yesh Atid, che molti vedono come un futuro primo ministro, nei sondaggi è distante da Netanyahu. A picco i laburisti che, se si votasse oggi, passerebbero da 24 a otto seggi. Un crollo dovuto anche alla decisione presa dal leader Avi Gabbai di cacciare via dalla lista “Unione sionista” (laburisti e centristi di Hatnua insieme) l’ex ministra degli esteri Tzipi Livni.