Che meraviglia. Fin dalle prime ore del mattino, alla radio e alla televisione danno i nomi di alcuni degli arrestati, molto vicini al primo ministro. Dopo poche ore, ecco nuovi dettagli.

È un delitto ricevere «regali» che valgono circa un milione di shekel (oltre 300.000 dollari)? Caso numero 1000 (così, con questa numerazione periodica questi scandali sono conosciuti in Israele). È un delitto concludere un accordo problematico e poco chiaro con l’editore del’importante quotidiano Yedioth Ahronot?

Caso numero 2000. Non ci dicono niente sul caso 3000 : lo scandalo relativo alla fornitura di sottomarini a Israele da parte dell’azienda tedesca Thyssen-Krupp.

Fra i probabili accusati di corruzione, due avvocati in strettissimi rapporti con Benjamin Netanyahu – uno dei due, il legale Molkho, ha rappresentato il premier in questi ultimi anni, in contatti segreti ad alto livello con diversi Paesi.

Eppure Netanyahu non è stato chiamato a testimoniare: non avrebbe alcun rapporto con il caso, dice il procuratore generale. Nelle ultime ore ci dicono, finalmente, che il premier dovrebbe testimoniare sul caso 3000. Ma intanto negli ultimi due giorni siamo stati occupati con il caso 4000, sul legame di natura illegale fra Netanyahu e un imprenditore potente – ora meno potente perché da ieri in stato di detenzione – nel campo delle telecomunicazioni e proprietario di un giornale digitale. E mentre scriviamo scoppia un altro di scandalo: un tentativo di corruzione di una giudice da parte di un consigliere molto vicino al primo ministro.

È molto importante capire il clima generale che domina in Israele. Stanno crollando molte delle difese costruite intorno al primo ministro, il quale sembra vieppiù impelagato: la corruzione governativa appare più grave di quanto si potesse prevedere due anni fa all’avvio delle indagini. Una valanga di nuovi dettagli sembra adesso minacciare il leader del Likud; i suoi accoliti alzano sempre di più la voce, man mano che si aprono altre brecce nelle difese di Netanyahu. Egli si preoccupa in primo luogo, e cinicamente, della sua sopravvivenza politica e per questo cerca in modo frenetico di screditare polizia, procuratore e giudici. Come se si trattasse di una cospirazione contro un novello Dreyfus. Se per salvarlo è necessario essere disposti a tutto, allora il problema è serio. Così l’escalation delle ultime settimane su tutti i fronti è cosparsa di mine vaganti che potrebbero esplodere senza troppe difficoltà.

Nel contesto internazionale, l’avventurismo di Donald Trump libera Israele dai freni messi in atto da Barack Obama. Immerso nei guai interni e offuscato da considerazioni demenziali sulla politica internazionale, il presidente Usa non fa da freno, come avevano potuto fare gli Stati uniti come quando i vertici israeliani pensavano a un attacco all’Iran.

A Monaco, il premier ha mostrato – con il drone iraniano abbattuto – ancora una volta l’atteggiamento paranoico di Israele verso l’Iran e ha fatto ricorso ai suoi abituali trucchi da teatrante. Ma il problema non sono solo gli atteggiamenti e le menzogne di Netanyahu: l’Europa manca di una voce decisa. E mentre le difese del premier collassano, tutti sembrano disposti ad aspettare le sue possibili avventure belliche senza opporvi un chiaro no.

Da ultimo, Israele fornisce sostegno a gruppi armati siriani nella regione presso le alture del Golan, a mo’ di possibile difesa contro i tentativi dell’Iran di insediarsi nell’area. Sembrano crescere negli ultimi giorni le frizioni reali o virtuali con Hezbollah in Libano; le minacce – finora verbali – da entrambe le parti potrebbero essere il punto di partenza per incendiare il nord, mentre le incursioni aeree degli israeliani in Siria si ripetono ormai frequentemente. La scusa sarebbe sempre la fornitura di nuove armi da parte dell’Iran, o la costruzione di nuove basi per le forze iraniane, oppure possibili minacce da Hezbollah. Tutto questo produce una situazione gravemente instabile, dalla natura molto pericolosa.

A sud, un attacco attribuito ad alcuni gruppi palestinesi della striscia di Gaza ha dato luogo non solo a pesanti raid israeliani, ma anche a gravi minacce di una escalation mentre tutta la Striscia di Gaza si trova nella situazione che membri degli apparati di sicurezza israeliani definiscono «la miccia di una crisi umanitaria potenzialmente esplosiva», tanto che propongono di alleggerire la situazione. Sono cioè più moderati dei politici, i quali promettono dure reazioni e una «sonora lezione al nemico». Si tratti di Hamas, di Hezbollah o dell’Iran.

I possibili focolai di guerra, in un contesto internazionale così problematico, potrebbero offrire un pretesto pericoloso per azioni militari, così da indurre i cittadini israeliani a occuparsi più della «patria minacciata» che di casi non così importanti tipo, insomma, «un po’ di corruzione, non poi così grave».

La minaccia di nuovi conflitti è molto seria. Lo spargimento di sangue potrebbe essere di enorme portata.