Alza la voce Benyamin Netanyahu. Più il suo governo viene criticato, anche dagli alleati occidentali, per la sua politica nei confronti dei palestinesi e più il premier israeliano irrigidisce la sua linea. E rafforza l’alleanza strategica con i coloni. «Israele ha il pieno diritto di costruire nei rioni ebraici di Gerusalemme. Gli inglesi costruiscono a Londra, i francesi a Parigi, noi a Gerusalemme», ha tuonato Netanyahu ieri alla Knesset respingendo le proteste palestinesi per l’ulteriore espansione delle colonie ebraiche di Ramat Shlomo e di Har Homa, dove, riferiva ieri il quotidiano Haaretz, saranno costruiti rispettivamente 660 e 400 appartamenti. Londra e Parigi però non sono città occupate militarmente, Gerusalemme sì. Lo dicono il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu. Il fatto che qualche mezzo d’informazione, come la principale agenzia di stampa italiana, definisca “rioni ebraici” le colonie israeliane costruite dopo il 1967 a Gerusalemme, non annulla la legge internazionale.

 

La colonizzazione della zona araba (Est) della Città Santa, da sempre provoca tensioni, proteste, la ribellione dei palestinesi. A maggior ragione oggi che procede a tappe forzate, abbinandosi a una penetrazione più rapida che in passato dei settler di Elad e Ataret Cohanim nel quartiere palestinese di Silwan e ai blitz della destra ultranazionalista sulla Spianata delle Moschee. «Non alzeremo la bandiera bianca…Se Israele continuerà a spingerci in un angolo, tutte le opzioni sono sul tavolo», ha avvertito Jibril Rajub, uomo forte di Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen.

 

Nuvole nere oscurano il cielo sopra Gerusalemme. La tensione è alta sin dai giorni di “Margine Protettivo”, l‘offensiva militare israeliana contro Gaza della scorsa estate. E’ da luglio, e con maggiore intensità in questi ultimi giorni, che centinaia di giovani si scontrano con la polizia israeliana. Accade a Ras al Amud, Wadi el Joz, Sheikh Jarrah, a-Tur e a Silwan, il quartiere dove viveva Abd al Rahman Shaludi, il 22enne, che la scorsa settimana ha travolto ed ucciso a una fermata del tram una bimba di tre mesi e un donna straniera. Per le autorità israeliane si è trattato di un attentato, compiuto da simpatizzante di Hamas. Per la famiglia del presunto attentatore, ucciso dal fuoco di una guardia di sicurezza, sarebbe stato un incidente. Comunque sia a Gerusalemme si respira un clima da Intifada. Le sirene delle ambulanze e delle auto della polizia riecheggiano continuamente nella zona araba della città, la polizia ha inviato altri mille agenti a sostegno dei reparti antisommossa.

 

Le ricadute in Cisgiordania sono inevitabili, immediate. Un ragazzino, Orwa Hammad, è stato ucciso qualche giorno fa dal fuoco del soldati israeliani a Silwad (Ramallah). Ad aggravare la tensione è giunta la decisione del ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon di accogliere una insistente richiesta dei coloni. Dal mese prossimo gli autobus israeliani che dalla Cisgiordania che si dirigono verso Israele, saranno un simbolo della segregazione nei Territori occupati. Ci saranno autobus per i lavoratori palestinesi, altri per i coloni. Gli “arabi” inoltre non potranno usare gli stessi transiti dei coloni: un primo autobus li porterà al posto di blocco di Eyal, a Qalqiliya, un secondo li attenderà sull’altro versante del Muro. «Il tentativo di segregazione è palese e le giustificazioni fornite (sicurezza, affollamento) non possono permettere il camuffamento di una politica razzista», ha commentato Jessica Montell, dell’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem.

 

Nuvole nere si addensano di nuovo anche su Gaza, sempre in attesa, dopo l’attacco militare israeliano di luglio e agosto, di una ricostruzione annunciata, finanziata (a parole) ma che stenta ad avere inizio. Ieri al Cairo dovevano cominciare le trattative indirette tra Israele e Hamas per il prolungamento del cessate il fuoco e la fine dell’assedio di Gaza. L’Egitto ha rinviato i colloqui, in apparente ritorsione contro il movimento islamico palestinese per l’attentato sanguinoso della scorsa settimana in cui oltre trenta soldati sono stati uccisi nel Sinai da un jihadista kamikaze. Il Cairo sostiene che Hamas, in controllo di Gaza, non attuerebbe politiche per impedire che i jihadisti in azione nel Sinai trovino sostegno logistico nella Striscia. Hamas smentisce ma gli egiziani non cambiano idea e per ora tengono chiuso a tempo indeterminato il valico di Rafah e annunciano di voler imporre una “zona cuscinetto” lungo il confine con Gaza.