I riflessi del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno, previsto a fine mese, continuano ad infiammare il dibattito regionale e a tenere in fibrillazione gli Stati coinvolti direttamente, l’Iraq, e indirettamente, Siria, Turchia e Iran. La consultazione però interessa anche gli Stati Uniti – artefici della “piena autonomia curda” quando al potere in Iraq c’era il nemico Saddam Hussein – la Russia e diversi altri Paesi. Tra questi Israele, da sempre vicino alla causa dei curdi iracheni. Così mentre sono in corso intensi negoziati e movimenti dietro le quinte per affondare il referendum – l’alleanza che la Turchia di Erdogan sta provando a stringere con l’Iran ne è una dimostrazione – o per imporre il rinvio della consultazione, il premier israeliano Netanyahu è stato il primo leader “occidentale” a pronunciarsi apertamente a favore della proclamazione di uno Stato curdo. I palestinesi sotto occupazione israeliana invece dovranno aspettare, forse per sempre. L’uomo alla guida del governo più a destra della storia di Israele ha tuttavia precisato che per lui il Pkk di Abdallah Ocalan è un’organizzazione «terroristica», prendendo le distanze dalle affermazioni di senso opposto fatte di recente dall’ex vice capo di stato maggiore Yair Golan.

Tanta passione per i diritti dei curdi si spiega con la lettura israeliana dell’attuale quadro politico e strategico della regione. Il referendum curdo, se il voto come si prevede sarà a favore della separazione dall’Iraq, avrà un effetto domino a partire dalla Siria. Qui i curdi, con l’appoggio americano, di fatto già controllano e governano gran parte del nord del Paese, ed è opinione diffusa che subito dopo il Kurdistan iracheno sarà il Rojava a votare per l’indipendenza, forse la prossima primavera. Non sorprende che negli ultimi mesi Damasco abbia usato toni più duri nei confronti delle intenzioni dei curdi siriani, anche perché sono sostenute da Washington. La nascita di entità separate in Iraq e in Siria va nella direzione auspicata dal governo Netanyahu che punta all’indebolimento degli avversari di Israele, a cominciare dalla Siria. Senza sottovalutare che l’indipendenza curda in Iraq metterebbe in difficoltà anche il “nemico numero uno”, l’Iran. Israele ha tutto da guadagnare dall’acuirsi della crisi tra curdi e arabi e il suo premier gioca sui tavoli della diplomazia tutte le carte che ha in mano. In questi giorni sta riallacciando buone relazioni in America latina dove, fino a qualche tempo fa, si tifava apertamente per i diritti dei palestinesi. Netanyahu è stato accolto con entusiasmo dal presidente argentino Mauricio Macri e ha rafforzato i legami (storici) tra Israele e Colombia.

L’attivismo diplomatico del premier israeliano punta molto anche sullo sport. Israele ora aspetta il Giro d’Italia 2018 che per la prima volta nella sua centenaria storia partirà al di fuori dell’Europa, grazie anche ai milioni di euro che gli sponsor israeliani hanno messo sul piatto. La corsa prevede tre tappe in Terra Santa e sarà presentata lunedì prossimo a Gerusalemme, alla presenza di due campioni: Ivan Basso e Alberto Contador. Obiettivo principale è fare in modo che il ciclismo internazionale celebri a Gerusalemme i 70 anni dalla nascita dello Stato di Israele.

Netanyahu non raccoglie solo successi. Ufficialmente è solo un rinvio eppure la decisione del presidente del Togo, Faure Gnassingbè, di rimandare a data da destinarsi il vertice Africa-Israele che si sarebbe dovuto tenere dal 23 al 27 ottobre prossimo a Lomè, rappresenta un duro colpo per il premier israeliano. Al rinvio ha contribuito in maniera decisiva l’opposizione al vertice da parte di alcuni Stati africani-arabi, in particolare l’Algeria, la Mauritania, il Marocco e la Tunisia (esplicitamente ringraziati dall’Olp). Netanyahu – che nel 2016 aveva visitato Ruanda, Kenya, Uganda, Etiopia – punta al riavvicinamento con diversi Paesi africani per sottrarli al sostegno alla causa palestinese, soprattutto in sede Onu. E per questo potrebbe organizzare il vertice in Israele nel 2018 con gli Stati africani che non fanno parte della Lega araba.