Le strade di Silwan, Wadi al Joz e di A-Tur sul Monte degli Olivi, ricordano quelle dell’inizio della prima Intifada 27 anni fa. Pneumatici consumati dalle fiamme, cassonetti dei rifiuti usati come barricate, sassi che ricoprono l’asfalto. Sono i resti delle battaglie urbane a Gerusalemme Est tra palestinesi e polizia, ormai quotidiane e quasi sempre notturne. Luoghi che al mattino sono presidiati dalle jeep dei «berretti verdi», la guardia di frontiera. La presenza degli uomini dei reparti antisommossa è cresciuta ovunque nella zona araba della città. Così come quella dei mistaaravim, i «mascherati da arabi», gli agenti di polizia che agiscono sotto copertura con il compito di catturare chi guida le proteste in strada. Posti di controllo sono stati eretti dalla polizia in tutte nelle aree di contatto tra la popolazione israeliana e quella palestinese, in particolare tra Abu Tur e Silwan, ai piedi delle mura della città vecchia e lungo la strada che costeggia la valle del Kidron.

Al Consiglio di sicurezza Onu

Più Israele cerca di mettere, defintivamente, le mani su Gerusalemme Est, con la colonizzazione e con i blitz della destra ultranazionalista sulla Spianata delle moschea di al Aqsa, è più i palestinesi si ribellano e reclamano Gerusalemme come capitale del loro futuro Stato. E più i palestinesi alzano il livello della loro protesta contro l’occupazione e più le autorità israeliane pianificano punizioni collettive per fermarla. Il giornale online Times of Israel ieri riferiva che il sindaco Barkat – due giorni fa era alla Spianata di al Aqsa per affermare la sovranità israeliana sul sito religioso – ha dato disposizione di aumentare la frequenza delle demolizioni degli edifici abusivi, quelli costruiti dai palestinesi naturalmente. Una misura che colpirà duramente la popolazione araba. Le stesse associazioni israeliane per i diritti umani, riferiscono che i palestinesi il più delle volte sono costretti a costruire illegamente, perchè le autorità comunali rilasciano con il contagocce i permessi edilizi a Gerusalemme Est. La parte araba della città perciò scoppia, non ci sono case nuove per coprire il fabbisogno. Così le famiglie alzano un piano o due sulla propria abitazione per dare una casa ai figli adulti. Le demolizioni degli alloggi abusivi potrebbero innescare una ulteriore escalation di scontri invece di placare la protesta palestinese come vorrebbe il sindaco Barkat.
Il governo israeliano e l’amministrazione comunale sono convinti di vincere la partita di Gerusalemme, anche con l’uso della forza. Eppure il via libera del premier Netanyahu all’ulteriore espansione delle colonie ebraiche dentro e intorno alla zona araba sta mettendo Israele sotto una forte pressione diplomatica, almeno in apparenza. Ieri il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni si è riunito, su richiesta urgente della Giordania, per valutare l’ennesima espansione degli insediamenti ebraici nelle aree occupate nel 1967. I palestinesi non si illudono. Il veto americano a una, ancora lontana, risoluzione di condanna di Israele è scontato.

Tensione Washington-Tel Aviv

Allo stesso tempo aumenta la tensione tra Washington e Tel Aviv. E se nulla può spezzare l’alleanza strategica e militare esistente tra Usa e Israele, la colonizzazione incessante portata avanti dal governo Netanyahu – l’ultimo annuncio parla della costruzione di altre 1000 case per coloni a Har Homa e Ramat Shlomo – sta mettendo alle corde le relazioni tra la Casa Bianca e il primo ministro israeliano. La rivista Atlantic ha riferito che collaboratori di Barack Obama hanno definito «pavido» il premier israeliano, «miope» la sua linea verso il negoziato con i palestinesi e «vigliacca» nei confronti del nucleare iraniano. Uno degli uomini del presidente statunitense, coperto dall’anonimato, ha utilizzato una parola offensiva «chickenshit» («cacca di gallina») verso Israele e il suo primo ministro. «Sono stato sul campo di battaglia numerose volte. Ho rischiato la mia vita per il Paese», ha reagito Netanyahu alle accuse nei suoi confronti raccolte da Atlantic. «I nostri interessi supremi – ha aggiunto il premier israeliano – in primo luogo la sicurezza e la unificazione di Gerusalemme, non interessano quelle fonti anonime che ci attaccano e che attaccano me in particolare». Sul web in Israele poco dopo hanno fatto la loro apparizione due foto polemiche. Nella prima Netanyahu appare nella divisa di una unità scelta israeliana, nella seconda Barack Obama sta seduto trasognato su un divano, con una sigaretta in mano. In serata l’amministrazione Usa ha preso le distanze dalle dichiarazioni rilasciate dal funzionario americano. Quelle parole sul premier Netanyahu, ha detto il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Alistair Baskey, «non riflettono certamente la posizione dell’Amministrazione… sono controproducenti». Il presidente Usa e il premier israeliano, ha detto ancora Baskey, «hanno costruito un partenariato efficace e si sentono in maniera regolare».