In giro si respira solo scetticismo e indifferenza, largamento comprensibili. Nonostante ciò il piano francese per la convocazione, pare il 30 maggio, di un incontro internazionale sulla questione israelo-palestinese ha smosso le acque stagnanti della diplomazia, facendo riemergere le posizioni inflessibili di Israele. Il governo Netanyahu si aggrappa con tutte le sue forze alla trattativa bilaterale con i palestinesi, “mediata” dagli Stati Uniti, con la quale negli ultimi 23 anni, dagli Accordi di Oslo in poi, ha ingabbiato il negoziato all’interno delle sue condizioni territoriali e di sicurezza. Da parte loro i palestinesi, ossia l’Olp e l’Anp del presidente Abu Mazen, si mostrano un po’ troppo fiduciosi verso le iniziative e i proclami dei governi occidentali che, sino ad oggi, non hanno modificato di un millimetro la situazione sul terreno. Ciò mentre la soluzione dei “Due Stati”, Israele e Palestina, alla quale lavorebbero la Francia, il resto dell’Europa e gli Stati Uniti, evapora di fronte all’avanzare incessante della colonizzazione israeliana nei Territori occupati e alla confisca di terre e risorse naturali.

Netanyahu è furioso con la Francia. Ha fatto un quadro nero della proposta di Parigi e usato toni forti incontrando nel fine settimana il ministro degli esteri francese Jean Marc Ayrault. «Gli ho detto che l’unico modo per far avanzare la vera pace tra noi e i palestinesi è attraverso negoziati diretti, senza precondizioni». E ha colto l’occasione per condannare la posizione “debole” di Parigi all’Unesco che di recente ha ribadito il carattere islamico della Spianata delle moschee di Gerusalemme che Israele invece considera il biblico Monte del Tempio ebraico. Ayrault ha replicato che la Francia continuerà a perseguire l’iniziativa e che il suo obiettivo finale resta la ripresa dei colloqui diretti attraverso un intervento internazionale. «Solo loro (israeliani e palestinesi) possono condurre negoziati diretti per raggiungere una soluzione», ha poi spiegato Ayrault provando ad alleggerire le proteste di Netanyahu. «Tuttavia le cose sono bloccate…e un intervento esterno è ora necessario per fornire un nuovo slancio (alla trattativa)». Parigi nei mesi scorsi aveva avvertito Netanyahu: se non ci saranno negoziati, la Francia riconoscerà lo Stato di Palesina. Poi su questo ha fatto una parziale marcia indietro.

L’incontro al quale puntano a fine mese i francesi prevede la partecipazione di ministri e rappresentanti del Quartetto per il Medio Oriente (Stati Uniti, Russia, Unione Europea e le Nazioni Unite), della Lega Araba, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e di una ventina di 20 paesi. I palestinesi e gli israeliani non saranno invitati. L’obiettivo è quello di formulare l’agenda di una conferenza internazionale da tenere in autunno. Per Netanyahu e il suo governo questo passo nasconde il rischio che si faccia strada l’idea di trattativa internazionale per dare una risposta alla questione israelo-palestinese, in sostituzione del negoziato bilaterale. Proprio a questo sviluppo puntano l’Olp e l’Anp, convinti che dal negoziato diretto con Netanyahu non potrà venire mai fuori qualcosa di concreto se non nuovi fallimenti. Nell’entourage di Abu Mazen ora circola un cauto ottimismo. Eppure i palestinesi sanno che tutto o quasi dipenderà dall’atteggiamento degli Stati Uniti.

«L’Amministrazione Obama sosterrà l’iniziativa di Parigi? A questo interrogativo per ora non c’è una risposta», spiega al manifesto l’analista palestinese Ghassan al Khatib, «gli Usa non hanno chiarito la loro posizione. Barack Obama, giunto alla fine del suo mandato, potrebbe adottare una linea più ferma nei confronti del governo Netanyahu con cui ha avuto in questi anni non pochi momenti di scontro, dal nucleare iraniano alla colonizzazione (dei Territori occupati). Però al momento sono pochi i segnali di un netto cambiamento di rotta da parte di Washington che per oltre venti anni ha mediato in esclusiva tra le due parti». I palestinesi intanto devono guardarsi da una nuova insidia che rischia di complicare ulteriormente la loro condizione. Oltre al rigido blocco israeliano di Gaza e la chiusura del valico di Rafah da parte dell’Egitto, adesso i palestinesi devono fare i conti con le ulteriori restrizioni al loro ingresso deciso dalle autorità giordane.