Benyamin Netanyahu entra a gamba tesa nelle trattative per l’unità nazionale palestinese. Ieri il premier israeliano, dopo aver annunciato la costruzione di altre migliaia di alloggi nella colonia di Maale Adumim, ha sganciato un siluro contro la riconciliazione tra il movimento islamico Hamas e Fatah, il partito del presidente Abu Mazen. «Non possiamo accettare – ha detto – presunte riconciliazioni in cui la controparte palestinese si riconcilia a spese della nostra esistenza…Chi vuole fare riconciliazioni – ha aggiunto – deve riconoscere Israele, smantellare l’ala armata di Hamas, spezzare i legami con l’Iran». Immediato l’applauso del ministro e leader partito ultranazionalista “Casa ebraica”, Naftali Bennett, che da parte sua ha invocato sanzioni economiche contro l’Anp.

Le minacce di Netanyahu sono giunte mentre il premier dell’Anp Rami Hamdallah teneva ieri a Gaza city la prima seduta del suo governo dopo oltre due anni e annunciava che i suoi ministri hanno assunto la gestione amministrativa della Striscia. «Il governo si occuperà di tutte le questioni rimaste in sospeso e la riconciliazione darà fiducia ai paesi donatori per la ricostruzione di Gaza», ha detto prima della riunione dell’esecutivo con all’ordine del giorno la questione dei circa 40mila dipendenti pubblici di Hamas di cui il movimento islamico chiede l’integrazione nell’Anp.

Sul buon esito dei negoziati non gravano solo le dichiarazioni di Netanyahu. Non è stata ancora trovata una soluzione per il ruolo delle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, di cui gli islamisti escludono categoricamente lo scioglimento. In un monito rivolto ad Hamas, ieri Abu Mazen ha detto che a Gaza non saranno tollerate armi illegali. «Se qualcuno di Fatah ha un’arma illegittima in Cisgiordania, lo arresto. Lo stesso a Gaza», ha avvertito.