La Turchia denuncia, la Siria punta il dito contro l’espansionismo israeliano, la Giordania minaccia di sospendere il trattato di pace. Quindi l’Ue e l’Onu condannano e persino la compiacente Arabia saudita è costretta a criticare Benyamin Netanyahu. Infine il presidente palestinese Abu Mazen avverte, per l’ennesima volta, che annullerà gli accordi se Israele si annetterà anche solo una porzione della Cisgiordania. È solo una parte delle reazioni contrarie all’annuncio fatto due giorni fa dal premier israeliano: se vincerò le elezioni annetterò a Israele la Valle del Giordano e il nord del Mar Morto. Ossia il 30% circa della Cisgiordania. Netanyahu in realtà punta a molto di più. Parla di annessione delle aree con tutti gli insediamenti coloniali ebraici, quindi di quasi tutto il territorio sotto occupazione dal 1967. Però senza le città, i villaggi e i piccoli centri dove vive la popolazione palestinese. Vogliamo la terra, non gli “arabi”. Non è un obiettivo nuovo.

Netanyahu era pronto ad annettere la Valle del Giordano già la scorsa settimana, anche per infliggere un colpo fatale alle speranze dell’opposizione di vederlo sconfitto alle elezioni del 17 settembre. Ma il procuratore generale, Avichai Mandelblit, si è opposto. Non perché la mossa annunciata del premier rappresenti una violazione della legalità internazionale – si tratta di un territorio occupato – ma per rispetto delle regole istituzionali interne. Un governo ad interim come quello in carica non può prendere decisioni così importanti. Lo stesso premier lo spiega in un video su Facebook, rispondendo a chi in Israele, opposizione e ultradestra, lo accusa di aver usato il tema dell’annessione a solo scopo elettorale.

Quanto sarà stata vincente o inutile la mossa in Cisgiordania si capirà solo alla chiusura dei seggi elettorali martedì prossimo. Netanyahu comunque va avanti come un rullo compressore e nello scorcio finale della campagna per il voto del 17 settembre si è impegnato nel suo abituale cavallo di battaglia: convincere l’elettorato di destra che gli “arabi”, inclusi quelli che sono cittadini israeliani, sono coalizzati e con l’aiuto dell’opposizione di centrosinistra pianificano la distruzione dello Stato ebraico. Per tutto il giorno l’account Twitter del primo ministro ha diffuso tweet apocalittici ed esortato l’elettore di destra a votare e a far votare per fermare gli “arabi”. Nel frattempo crolla l’economia palestinese sotto occupazione israeliana, colpita da una crisi arrivata a un «punto di rottura» avverte l’Unctad (United Nations Conference on trade and development). I livelli di povertà crescono assieme alla disoccupazione e al degrado ambientale a causa del drastico calo del sostegno internazionale, delle misure punitive applicate da Israele e delle dispute tra l’Anp di Abu Mazen e il governo Netanyahu.