Il divieto di assembramento non li ha scoraggiati, così ieri mattina 150 militanti del partito Likud, si sono radunati davanti alla corte distrettuale di Gerusalemme, nella zona palestinese della città, a urlare slogan contro i giudici e di incoraggiamento per il loro leader Benyamin Netanyahu. Non li ha delusi il premier di destra entrando in aula per la seconda udienza del processo in cui è chiamato a difendersi dalle accuse di corruzione, frode e abuso di potere in tre diverse indagini conosciute come i casi 1000, 2000 e 4000. L’ultimo è il più grave. Netanyahu è accusato di aver negoziato con Shaul Elovitch, principale azionista del gigante delle telecomunicazioni Bezeq, per assicurarsi una copertura mediatica amica da parte dell’importante sito di informazione Walla in cambio di decisioni favorevoli agli interessi dell’azienda.

Al suo arrivo, tra imponenti misure di sicurezza, con cecchini appostati sui tetti, Netanyahu si è mostrato scuro in volto per rimarcare l’irritazione per un procedimento penale che ha sempre definito «una persecuzione», «un complotto». Il premier è stato attento a non farsi inquadrare il volto. Si è dichiarato innocente, estraneo alle accuse presentate dalla procura, quindi ha chiesto il permesso di lasciare il tribunale e, circondato dalla scorta, è andato via mentre i suoi sostenitori issavano lo striscione: «Lo Stato contro Netanyahu». A contrastarli con slogan di segno contrario decine di attivisti contro il premier, rappresentanti le migliaia di persone che ogni settimana da mesi manifestano per chiedere le sue dimissioni. Sabato scorso, per la prima volta, agli israeliani si sono uniti nel raduno a Gerusalemme ovest (la zona ebraica) decine di palestinesi, giunti dal quartiere di Silwan dove poco prima avevano tenuto una protesta congiunta contro i piani di demolizione di case arabe.

Non è successo molto di più ieri. L’attenzione verso Netanyahu alla sbarra sta scemando. Era inevitabile con la pandemia che, con il suo bilancio quotidiano di contagiati e decessi, e la crisi economica sempre più profonda tengono occupata l’opinione pubblica e anche gli innumerevoli avversari di ogni colore politico del primo ministro. Chi a novembre 2019, all’annuncio del rinvio a giudizio di Netanyahu, aveva previsto in tempi brevi la fine del suo lungo potere, oggi fa i conti con una situazione ben diversa. Il leader del Likud ha vinto il voto di 11 mesi fa, ha annientato il suo più temibile avversario per tre elezioni consecutive, Benny Gantz, e si prepara ad arrivare primo il prossimo 23 marzo quando gli israeliani andranno alle urne per la quarta volta in due anni. Dai sondaggi appare chiaro che la vicenda giudiziaria del premier non ha avuto un impatto sul consenso di cui gode il Likud destinato a confermarsi il partito di maggioranza relativa. I legali di Netanyahu ieri hanno chiesto ai giudici un rinvio, di tre-quattro mesi, della prossima fase del processo, quando il premier si confronterà con alcuni dei testimoni. Se la richiesta sarà accolta, ma è improbabile, la prossima udienza avrà inizio ben dopo il voto di marzo.

       Nelle stesse ore, a una dozzina di chilometri di distanza da Gerusalemme, al tribunale militare israeliano di Ofer, sotto processo c’era un difensore palestinese dei diritti umani, Issa Amro, di Hebron dove, a capo della ong «Giovani contro gli insediamenti» conduce da anni una battaglia pacifica contro la colonizzazione israeliana della città. Non violento, conosciuto e sostenuto da organizzazioni della società civile di molti paesi, Amro era accusato tra le varie cose di aver tenuto «manifestazioni non autorizzate» e di aver ostacolato militari israeliani. Rivolgendosi ai giudici, l’attivista palestinese ha ribadito il suo impegno non violento e spiegato che i palestinesi non intendono «sottomettersi al regime di occupazione» e che continueranno «a denunciare l’occupazione pur sapendo di dover pagare dure conseguenze». I giudici militari lo hanno assolto da 12 capi d’accusa e condannato «solo» per tre.  Hanno testimoniato a suo favore quattro israeliani: Ebrum Borg, il professore Hillel Cohen, Hagit Ofran e Yehuda Shaul. Presto si conoscerà la pena.