Iperliberista in patria, ma diffidente verso la Rete, cioè il simbolo mondiale dell’economia di mercato. È questa in sintesi la visione di Donald Trump rispetto Internet e l’informazione. Martedì, dopo aver detto che bloccherà la fusione tra At&t e Time Warner…

Martedì, dopo aver detto che bloccherà la fusione tra At&t e Time Warner, Ajit Pai, l’uomo posto da Trump a capo della Federal Communications Commission, ha così annunciato che il 14 dicembre verrà cancellato l’Open Internet Order voluto da Barack Obama per garantire la net-neutrality.

Come questa volontà interventista possa essere conciliata con il dogma neoliberista fatto proprio dal bilioso inquilino della Casa Bianca, non è ritenuto un problema. Trump è infatti coerente con il nuovo corso neoliberista quando dice che vuol fare di nuovo grande gli Stati uniti utilizzando tutte le prerogative politiche del suo ruolo presidenziale, piegando così l’Amministrazione pubblica al suo volere.

Se la neutralità della Rete sarà abolita uno dei pilastri di Internet verrà meno, provocando un ridisegno dei rapporti di potere tra le imprese che a vario titolo lavorano con la Rete. Quello che vuol aprire Trump è inoltre un nuovo capitolo del conflitto latente, sotterraneo, ma che comincia a manifestarsi pubblicamente tra logiche commerciali, produttive, imprenditoriali tra loro antitetiche.

Da una parte imprese sì potenti, ma che hanno il loro core business nel mercato nazionale (ad esempio, le compagnie delle telecomunicazioni come At&t, Verizon e Comcast ); dall’altra imprese che operano globalmente (quelle della Silicon Valley e dei media).

Un conflitto intercapitalistico, al quale si aggiunge anche il fatto che Internet è un medium universale perché la convergenza tra telecomunicazioni e computer science c’è stata. Adesso si tratta di produrre contenuti e trovare il modello di business per fare profitti alla luce della consuetudine in Rete di volerli consumare gratuitamente.

Netflix, Google, Amazon, Apple vogliono inserirsi su questo «campo» e non possono dunque tollerare nessuna limitazione nell’accesso alla Rete. Trump ha deciso che tutto ciò suona antipatriottico.

Per questo pensa che la cancellazione della net-neutrality sia un passaggio per far tornare grande l’America promuovendo una gestione classista dello stare in Rete. Poco importa se questo vuol dire limitare il mercato. Stare con agio in Rete è per Trump un gadget per ricchi. Per il popolo bastano servizi scadenti che vanno comunque pagati a caro prezzo.

La net neutrality stabilita per legge da Barack Obama era comunque una consuetudine da tutti accettata.

Una volta connessi gli utenti hanno infatti la stessa velocità di navigazione nel cyberspazio. È cioè vietata ogni discriminazione nel navigare in rete indipendentemente dall’ammontare del canone o del contratto che i singoli stabiliscono con una società di Internet provider. Una logica universalista mai stata amata dalle grandi compagnie di telecomunicazioni, che hanno fatto da sempre pressioni affinché fosse invece introdotta la regola «più paghi, più navighi veloci». Ma l’accesso alla Rete, anche negli Usa, è da sempre considerato un diritto universale.

E lo pensano anche le grandi imprese del Web (da Google a Amazon, da Apple a Facebook, Twitter, Netflix), che infatti considerano la net-neutrality la condizione indispensabile del loro modello di business.

Ma da qui al 14 dicembre, quando l’Open Internet Order dovrebbe essere abolito, Trump incontrerà molti ostacoli sulla sua strada. Nei mesi scorsi il boss di Facebook Mark Zuckeberg ha lanciato il progetto di costruire con la Rete una comunità globale fondata sulla tolleranza, dove cioè ognuno degli utenti della Rete può dialogare con i propri simili senza negare tale possibilità a chi la pensa diversamente. Un progetto sicuramente nelle corde degli altri signori del silicio. Quello che sta accadendo al di là dell’Atlantico non è però un simulacro digitale del Trono di Spade. In ballo c’è il diritto universale all’accesso alla comunicazione attraverso la condivisione dei contenuti.

Per questo, il conflitto maggiore che l’inquilino della Casa Bianca avrà di fronte è la moltitudine della Rete. E non è detto che a vincerlo sarà proprio chi dice che vuol di nuovo fare grande l’America mentre ne sta gestendo, in virtù delle scelte che fa, un lento seppur aggressivo declino.