Per uno spiraglio che si apre a favore di Lula, subito c’è una contromossa a raffreddare le speranze. Era sembrata di buon auspicio la decisione con cui il 24 aprile la Seconda sezione del Supremo Tribunale Federale, per 3 voti contro 2, aveva sottratto al giudice Sérgio Moro parte delle deposizioni rilasciate su Lula dai dirigenti dell’impresa di costruzione Odebrecht per trasferirle alla Giustizia di São Paulo, inviando – così sembrava – un segnale di presa di distanza dal giudice simbolo dell’operazione Lava Jato, impropriamente definita la «Mani pulite» brasiliana.

UNA DECISIONE che i ministri del Stf avevano motivato con l’assenza in tali dichiarazioni di un riferimento diretto alla Petrobras – cioè all’oggetto specifico della Lava Jato a cui è limitata la competenza di Moro – malgrado fossero stati loro, lo scorso ottobre, a respingere all’unanimità un ricorso presentato dai legali di Lula proprio in questi termini.

Benché tali ripensamenti da parte dei ministri della Corte Suprema, diventati tanto frequenti quanto imprevedibili, configurino un clima di sempre crescente incertezza giuridica, la decisione della Seconda Sezione del Supremo Tribunale Federale era apparsa comunque di grande importanza, confermando uno dei principali argomenti utilizzati dalla difesa dell’ex presidente: che cioè non era Sérgio Moro il giudice competente per il caso dell’ormai famosissimo «triplex» – l’appartamento di Guarujá per cui Lula sta scontando una condanna a 12 anni e 1 mese – in quanto anch’esso privo di connessioni specifiche con l’impresa petrolifera statale.

COSICCHÉ I LEGALI DI LULA – che proprio su questa irregolarità, tra altre esistenti, fanno leva per ottenere l’annullamento della condanna dell’ex presidente – si erano subito attivati per richiedere il trasferimento alla Giustizia Federale di São Paulo non solo delle deposizioni in questione, ma dell’intero processo a cui esse si riferiscono: quello relativo alla ristrutturazione di una proprietà ad Atibaia, a São Paulo, frequentata da Lula e dalla sua famiglia, che, secondo il magistrato, sarebbe legata alla tangente di un milione di reais pagata all’ex-presidente dalle imprese di costruzioni Odebrecht, Oas e Schahin.

Ci ha pensato però proprio uno dei giudici che aveva votato a favore del trasferimento di quelle deposizioni, Dias Toffoli, a ridimensionare le aspettative, respingendo la richiesta di sospensione del processo, in quanto a suo giudizio travalicherebbe la portata della decisione, «isolata» e «provvisoria» della Seconda Sezione del Stf.

Né Toffoli ha individuato alcun “affronto” nella decisione da parte di Moro, in quello che pure è apparso a molti come l’inizio di uno sconcertante braccio di ferro con la Corte Suprema, di attendere di leggere le motivazioni del Stf prima di inviare le deposizioni a São Paulo. Una decisione che ha attirato su Moro non poche accuse, a cominciare da quella di sentirsi ormai «il giudice supremo del Paese», secondo le parole del magistrato Marcelo Tadeu Lemos. E a dirsi «perplesso» è stato lo stesso Lula, che, dalla sua cella di Curitiba, ha commentato in una lettera: «Che Paese è questo in cui un giudice di primo grado ignora una decisione della Corte Suprema?».

CHE LA PERSECUZIONE GIUDIZIARIA contro l’ex presidente sembri del resto non avere fine lo dimostra anche la nuova denuncia per corruzione resa nota il 1° maggio, proprio mentre a Curitiba, al grido di «Lula libero», le maggiori centrali sindacali davano vita al loro primo evento unificato dal ritorno della democrazia.Al centro della nuova denuncia della procuratrice generale Raquel Dodge – estesa anche alla presidente del Pt Gleisi Hoffmann, all’ex ministro della Pianificazione Paulo Bernardo Silva e all’ex ministro dell’Economia Antonio Palocci (il quale, arrestato per corruzione nel 2016, si è trasformato, sotto le pressioni di Moro, in uno dei grandi accusatori dell’ex presidente) – vi sarebbe una tangente di 40 milioni di dollari pagata dalla Odebrecht in cambio di favori prestati all’impresa, a partire da un credito vantaggioso concesso dal Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social per i suoi progetti in Angola.

E se, anche in questo caso, l’impianto accusatorio è basato su indizi e non su prove – il nome di Lula non compare da nessuna parte -, la denuncia rischia però di riaccendere le polemiche sul coinvolgimento del Partito dei Lavoratori in quello schema di corruzione sistemica a cui non è sfuggita alcuna forza politica brasiliana. E in cui, secondo il noto scrittore e attivista uruguayano Raúl Zibechi, sarebbe rimasto in qualche modo impigliato lo stesso ex presidente, del quale egli evidenzia le «relazioni carnali» con le grandi imprese di costruzione, «con scambio di favori che possono non essere illegali, ma risultano comunque discutibili». Benché, è ovvio, nessuno dovrebbe essere «arrestato per commettere atti incompatibili con un’etica di sinistra», che su tali questioni non ha mai fatto sconti.