Non c’è proprio nessuna «svolta», non c’è davvero nessun segnale di «coraggio e ambizione» nel ritorno al ministero per i Beni e le attività culturali di Franceschini, l’artefice della peggiore riforma dei beni culturali e del cinema che si ricordi, colui che ha decretato ufficialmente la mercificazione della produzione artistica e del patrimonio culturale.

Ed infatti la prima mossa del ministro renziano – a dissipare ogni dubbio sulle sue intenzioni programmatiche – è stata quella di riaccorpare il turismo al Mibac, cioè la cultura al mercato.

Per segnare davvero una svolta nelle politiche per i beni e la produzione culturale, occorre invece – e per iniziare – portare l’Italia a livello di tutti gli altri paesi europei negli investimenti per la cultura.

Occorre avere il coraggio di cancellare la legge sul cinema che porta il nome di Franceschini per tornare a sostenere le opere e gli autori e non le imprese; per ribaltare i criteri di finanziamento pubblico portando all’85 percento quelli «selettivi» – cioè ai film d’autore, all’associazionismo culturale, alla formazione, ai festival, all’editoria cinematografica, eccetera – e solo il resto ai cosiddetti «automatici», cioè al mercato.

Una legge che faccia i conti con le nuove tecnologie ma che metta al centro le sale cinematografiche e le opere per le sale.

Ancora: occorre aprire un confronto con il mondo del teatro e della musica per elaborare finalmente una legge quadro di riforma dello spettacolo dal vivo degna di questo nome.

Occorre far tornare istituzioni realmente pubbliche le fondazioni lirico-sinfoniche eliminando la mostruosità del pareggio di bilancio.

Occorre una legge che riconosca finalmente la dignità e i diritti dei lavoratori della produzione artistica e dei beni culturali.

Occorre proteggere, promuovere e rendere accessibili a tutti i luoghi della cultura e i luoghi della partecipazione: i musei, le biblioteche, i teatri, le sale cinematografiche, le librerie, le sale per i concerti, i luoghi di sperimentazione.

Occorre promuovere e sostenere l’associazionismo culturale e il lavoro sui territori, la formazione professionale e quella culturale.

E ancora: cancellare la riforma Franceschini e la sua mercificazione del patrimonio culturale, separando i beni culturali dal turismo e promuovendo in modo serio la loro tutela e valorizzazione.

In pochissime parole: per segnare davvero una svolta occorre riportare al centro il ruolo dello Stato anche nella cultura, nella consapevolezza che l’unico utile da ricercare è l’utile sociale; occorre che la cultura, la sua produzione e la sua fruizione, diventi realmente un diritto di tutti, come sancito dalla Costituzione. Che la si consideri un valore in sé, uno degli strumenti più importanti per la crescita individuale e collettiva, per la formazione di una coscienza critica. Cioè per la democrazia.

* Responsabile nazionale cultura Partito della Rifondazione Comunista