Insieme al quinto anniversario delle rivolte del 2011, in Egitto tornano i metodi sommari della polizia. La vittima stavolta è un giovane italiano di 28 anni, Giulio Regeni. Il dottorando dell’Università di Cambridge è scomparso la notte del 25 gennaio scorso: una data evocativa che richiama la folla di piazza Tahrir e le centinaia di migliaia di persone che chiedevano la fine del regime di Mubarak. Da quel giorno di cinque anni fa purtroppo il paese è sprofondato nel baratro del regime militare e dello stato di polizia, dopo il golpe militare del 3 luglio 2013.

Appresa la notizia della scomparsa del giovane, che risale ormai a otto giorni fa, la famiglia ha raggiunto il Cairo dal Friuli Venezia Giulia e ha seguito insieme a Farnesina e ambasciata italiana le indagini della polizia egiziana.

Compagni e amici hanno avviato la campagna su Twitter #whereisgiulio per raccogliere notizie sulla sua scomparsa.

Eppure pare che fino all’annuncio del colloquio tra il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, e il suo omologo egiziano, Sameh Shokry, avvenuto la scorsa domenica, nulla di concreto sia emerso né sulle circostanze della scomparsa né sulla localizzazione del giovane.

Secondo report indipendenti, sono migliaia i desaparecidos in un paese governato e controllato da leggi anti-proteste e leggi anti-terrorismo, le cui carceri sono centri di tortura sistematica da parte delle forze dell’ordine.

Molte piste restano ancora da vagliare, inclusa quella del rapimento a scopo di estorsione. Alcune fonti locali avvalorano questa tesi. Secondo queste ricostruzioni, il giovane si trovava nel quartiere di Doqqi a due passi dal Nilo al momento della scomparsa. Quella sera non erano in corso grandi manifestazioni in quella zona.

Tuttavia, nei giorni seguenti sono state arrestate almeno 75 persone, principalmente sostenitori della Fratellanza musulmana, messa fuori legge nel 2014.

I timori del regime riguardavano la possibilità di imponenti manifestazioni di piazza: in occasione del quarto anniversario dalle rivolte del 2011, la giovane Shaimaa el-Sabbagh venne uccisa dalla polizia mentre portava una rosa in piazza Tahrir.

Tra gli arrestati delle ultime ore, figura anche il fumettista Islam Gawish, rilasciato nella serata di ieri, che aveva pubblicato disegni critici verso il regime. È stato arrestato anche l’attivista socialista più volte intervistato dal manifesto, Taher Mokhtar.

Nei giorni di manifestazioni e scontri più intensi, sono stati sempre gli stranieri nell’occhio del ciclone.

Negli ultimi mesi, un sentimento di diffusa xenofobia ha spinto decine di giornalisti e studiosi a lasciare il paese. Molti i casi di espulsioni all’arrivo in aeroporto o notizie di persone prelevate dalle loro abitazioni. Il caso più grave riguardò un giovane insegnante canadese, Andrew Pochter, che nell’estate 2013 venne ucciso durante una manifestazione ad Alessandria d’Egitto.

Ormai siamo entrati in una fase di repressione ancora più incisiva rispetto ai mesi precedenti.

Il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha ottenuto tutto quello che poteva sperare. Il nuovo parlamento, controllato per la quasi totalità dalla sua lista elettorale “Per l’amore dell’Egitto”, è entrato in piene funzioni lo scorso 11 gennaio. Addirittura l’ex presidente ad interim, Adly Mansour, ha potuto liberamente criticare nella prima sessione delle Camere la Costituzione per i riferimenti che contiene alle rivolte del 2011.

Una dura legislazione contro i simboli della Fratellanza musulmana e del movimento 6 aprile è stata approvata mentre tutti i decreti legislativi, voluti dall’ex generale, sono stati confermati dal parlamento ad eccezione della contestata legge sul pubblico impiego.