Chi voglia compiere un’analisi seria delle elezioni regionali francesi non può certo cavarsela con una valutazione limitata alla ingegneria elettorale. Le questioni di fondo che il voto ha segnalato sono ben altre.

In primo luogo è causa non secondaria della crescita del Front National lo smarrimento della identità della sinistra al governo, come dimostra il fatto che il più consistente aumento elettorale il Fn l’ha ottenuto in Regioni, come quelle del Nord Est, che erano in passato feudi della sinistra. In secondo luogo l’esito del voto dimostra quanto sia inutile e controproducente rincorrere l’estrema destra sul suo terreno, securitario e muscolare. Infine vi è non da oggi una crisi del sistema politico-istituzionale che è dimostrata dalla crescente insofferenza dei cittadini per la politica e dal distacco nei confronti delle istituzioni, sempre meno in grado di contenere le spinte populistiche, eversive e xenofobe.
Ciononostante nessuna seria riflessione sulla Quinta Repubblica viene compiuta da parte dei commentatori che in Italia sono stati da anni in prima fila nel sostenere riforme istituzionali alla francese o comunque basate sull’elezione popolare del capo dell’esecutivo. Ma vi è di più: i sostenitori del modello “italico” tentano di piegare l’interpretazione delle elezioni regionali francesi alla esaltazione dell’Italicum e delle virtù di «un sistema maggioritario di lista a due turni» (così D’Alimonte ne Il Sole 24 Ore del 15 dicembre scorso), che garantirebbe al secondo turno un aumento della partecipazione elettorale come quello che si è verificato in Francia. Intanto fra il sistema elettorale regionale francese e l’Italicum vi sono nette differenze. Nel primo è richiesta al primo turno la maggioranza assoluta dei voti per ottenere il premio (pari a un quarto dei seggi complessivi). Se per le elezioni regionali francesi si fosse applicato un sistema tipo Italicum, il Fn avrebbe vinto e ottenuto il premio in due Regioni (Nord-Pas de Calais-Picardie e Provence-Alpes- Côte d’Azur), nelle quali ha superato al primo turno il 40 per cento dei voti e sarebbe andato al ballottaggio in altre cinque Regioni, in quattro delle quali sarebbe stato eliminato il candidato socialista.

Ancora: in Francia al secondo turno sono ammesse non solo le prime due liste ma tutte quelle che superino il 10 per cento dei voti, il che ha determinato in tutte le Regioni, tranne nelle due in cui il partito socialista ha ritirato volontariamente i propri candidati, competizioni almeno triangolari al secondo turno. Ne consegue che gli apparentamenti fra i partiti in vista del secondo turno non solo non sono vietati come nell’Italicum, ma costituiscono la normalità e si sono verificati sia nella destra repubblicana sia nella sinistra.

Infine vi è una differenza sostanziale di natura politica; in Francia la “disciplina repubblicana” ha impedito al Fn di vincere in due Regioni. Anche se tale principio mostra la corda, essendo ormai rifiutato da Sarkozy e praticato unilateralmente sotto forma di desistenza soltanto dai socialisti, comunque è ancora condiviso da un buon numero di elettori e ciò spiega l’aumento dei partecipanti al voto al secondo turno. Al contrario in Italia non può esservi nessuna “disciplina repubblicana” in presenza di una destra, fondata sull’alleanza tra Forza Italia da un lato e Lega e Fratelli d’Italia (con il codazzo dei fascisti di Casa Pound) dall’altro.

Di conseguenza è difficile che al secondo turno si avrebbe un aumento della partecipazione al voto, essendo al contrario più probabile che una parte di quelli che hanno votato al primo turno per la terza lista esclusa dalla competizione elettorale si rifugino nell’astensione.

D’Alimonte opera anche una comparazione tra l’Italicum e il sistema praticato in Francia per l’elezione dell’Assemblea nazionale. La tesi è che con il maggioritario a doppio turno in collegi uninominali il Fn otterrebbe «una manciata di seggi», mentre con l’Italicum avrebbe una rappresentanza più equa. Ora, è innegabile che il sistema elettorale francese può produrre un effetto altamente distorsivo della volontà popolare, ma cosa c’è di più distorsivo e antidemocratico di un sistema come l’Italicum che al secondo turno taglia fuori una terza lista che potrebbe ottenere tra il 25 e il 30 per cento dei voti? E poi è vero che nelle elezioni del 2012 il FN ha ottenuto solo due seggi, ma con il 13,6 per cento dei voti. Ora veleggia verso il 30, il che significa che i suoi candidati andrebbero al secondo turno nella grandissima maggioranza dei collegi e una parte di loro non esigua potrebbe vincere il seggio, non essendo immaginabile, se non a prezzo di un suicidio politico, che il partito socialista possa ritirare i suoi candidati in tutti i collegi in cui quelli del Fn siano in testa.

A fronte dei contorsionismi intellettuali dei commentatori di fede renziana, pare utile segnalare la maggiore consapevolezza di importanti politologi francesi nel sottolineare la crisi di un sistema elettorale che non trova più corrispondenza nella realtà. In particolare Yves Mény (intervistato da La Repubblica il 7 dicembre) ha dipinto la situazione nei seguenti termini: «Il sistema francese è diventato sociologicamente tripolare, ma con meccanismi elettorali che sono ancora quelli del bipolarismo. La stabilità politica della Quinta Repubblica è fatta con artifici elettorali. Ci deve essere sempre un solo vincitore, che ha la maggioranza assoluta e tutti i poteri».
Ebbene, è l’esatta raffigurazione di un modello che in Francia non funziona più e viene oggi riproposto in Italia, in presenza di un sistema politico marcatamente tripolare, dal combinato disposto tra legge elettorale, che deve assicurare che vi sia un vincitore «la sera stessa delle elezioni» grazie all’attribuzione di un premio abnorme e di un ballottaggio che distorce la volontà popolare, e controriforma costituzionale che attribuirebbe una somma enorme di poteri alla maggioranza artificiale dell’unica Camera che conta e al suo leader, indebolendo i contrappesi istituzionali e gli istituti di garanzia.