Non c’è niente di nuovo nella posizione italiana sul Venezuela. La condanna di fronte alla revoca dell’immunità a sette deputati dell’opposizione – per aver partecipato al fallito golpe del 29 aprile -, e l’asilo in ambasciata a una di loro, Mariela Magallanes, è in perfetta continuità con le posizioni espresse negli ultimi mesi. Riassumendo e sfrondando: Maduro non è il presidente legittimo, si rifacciano le presidenziali. È quel che chiede anche l’autoproclamato presidente Juan Guaidó.

Su Radio 1, dopo il tentato golpe militare a Caracas, il ministro degli Esteri Moavero ha ribadito quanto già detto in febbraio: «Noi come governo non abbiamo mai riconosciuto la legittimità delle ultime elezioni presidenziali in Venezuela e di conseguenza non riconosciamo e non consideriamo il signor Nicolás Maduro come legittimo presidente del Venezuela. Al contrario abbiamo pienamente riconosciuto, come ha fatto la comunità internazionale, le elezioni dell’Assemblea legislativa che ha poi legittimamente eletto suo presidente Juan Guaidó». Quindi, la vittoria dell’opposizione è stata regolare; quella di Maduro no, si rivoti sotto «controllo internazionale».

Riguardo ai fatti del 29 aprile, a differenza del suo omologo spagnolo Moavero non ha detto «pane al pane» e non ha usato la parola «golpe»; ha solo auspicato che «si eviti una escalation militare che avrebbe effetti terribili sulla popolazione». Ha poi evocato la «presenza in Venezuela di altri stati, Cuba eccetera» come «un elemento di preoccupazione». Il problema, dunque, è L’Avana?

Il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, 5 Stelle, intervistato il 2 maggio su La7 ha detto: «Non siamo per sovversioni di Stati a mezzo armato. Guaidó il 29 ha fatto male e Maduro ha risposto ancor peggio» e ha ribadito per l’ennesima volta: «Con il gruppo di contatto stiamo lavorando a un processo per nuove elezioni presidenziali, visto che il Parlamento e il governo italiano non riconoscono Maduro».

Ha fatto meglio Josep Borrell, ministro degli Esteri spagnolo, dicendo in tivù che «i golpe militari vanno chiamati con il loro nome; il gruppo di contatto sul Venezuela non è sulla stessa linea d’onda degli Usa che stanno facendo come i cow-boy».