«Wolfe ripeteva spesso che questa era l’epoca perfetta per l’uomo sedentario: in precedenza un simile personaggio poteva appagare le sue legittime curiosità mettendosi seduto ed esaminando i tempi andati in compagnia di Gibbon, Ranke, Tacito o Greene, ma per incontrare i suoi contemporanei doveva mettersi per strada, mentre l’uomo moderno, stancatosi momentaneamente di Galba o Vitellio, doveva solo girare la manopola della radio e tornarsene in poltrona».

È IL 1934 quando Rex Todhunter Stout, uno scrittore prossimo ai cinquant’anni che si era già cimentato con scarso successo con il romanzo d’avanguardia, dà vita alla figura di un investigatore privato destinato a cambiare la storia della letteratura poliziesca. Il protagonista di Fer-de-lance (Beat, 2011), titolo originale della prima di una serie di inchieste che fino al 1975, anno della scomparsa di Stout, raggiungeranno le diverse decine – 46 romanzi e una trentina di racconti – è un personaggio atipico, un antieroe, certo un individuo non sempre incline a suscitare la simpatia o l’ammirazione, specie a prima vista.

LA SUA MOLE imponente, quando si parla di peso i numeri volano fino a 150 chili, domina la scena pari soltanto alla sua estrema pignoleria e a un temperamento facile agli scatti d’ira, malgrado l’apparente aplomb esibito in ogni circostanza. Eppure Nero Wolfe, della cui biografia ci è dato di sapere pochissimo, tranne che ha origini o forse è addirittura nato in Montenegro, è un uomo estremamente raffinato, capace di coltivare grandi passioni: per la buona cucina, anche grazie all’opera del cuoco svizzero che ha assunto, Fritz Brenner, e per le orchidee che coltiva nella serra all’ultimo piano della sua abitazione nel cuore di New York, al 454 della 35esima Strada Ovest, a mezzo isolato dal fiume Hudson.

È DA QUESTA SORTA di moderna rivisitazione di una casa vittoriana, dove sembra trovarsi riunito gran parte di ciò che Wolfe può desiderare, in ogni caso tutto il suo «mondo» conosciuto, che l’investigatore privato porta a termine le sue inchieste, che riguardano perlopiù l’ambiente dell’upper class newyorkese, mettendo in campo ad ogni occasione un’intelligenza e un intuito davvero rari. «I detective classici – ricordava Ernest Mandel in Delitti per diletto – non agiscono, pensano. Nero Wolfe, caso estremo, non si sposta neanche, se non in ascensore, dalla cantina al piano più alto della sua casa d’arenaria a Manhattan. È forza spirituale pura, distillata».

Per supplire alle necessità dell’indagine, come talvolta a quelle della vita quotidiana, Wolfe si avvale del suo segretario, Archie Goodwin, coprotagonista di ogni inchiesta e voce narrante dei romanzi di Stout. È lui, aitante e dinamico, che raccoglie per le strade di una New York che all’inizio della serie risente ancora dell’eco delle gesta dei gangster e alla fine si trasformerà nella metropoli scossa dal conflitto razziale degli anni Sessanta, gli elementi e le tracce sulle quali si cimenta poi l’investigatore. Così facendo, ed è forse una delle caratteristiche che hanno reso tanto celebri queste storie, le atmosfere della detection del giallo classico – i metodi di Wolfe non possono non far pensare almeno un po’ a quelli di Holmes e al suo esibito dandismo, come il rapporto con Goodwin evoca in parte quello del detective londinese con il Dottor Watson -, finiscono per incontrare quelle dell’hard boiled.

 

Due epoche del romanzo poliziesco si fondono intrecciate ad una scrittura rigorosa, attenta ai dettagli, curiosa e capace di cogliere di ogni contesto anche gli aspetti ironici e contraddittori. Wolfe riflette ad alta voce mentre Goodwin annota scrupolosamente ogni particolare su un taccuino. Anche se il loro rapporto attraversa qualche burrasca, nessuno dei due potrebbe davvero fare a meno dell’altro. E se è il fido segretario ad apparire più incline ai sentimenti e all’empatia, l’investigatore cela sotto un aspetto a prima vista burbero e cinico un senso innato per la giustizia e la verità, tanto da arrivare ad ammettere che «nella vita tutto, tranne la coltura delle orchidee, deve avere uno scopo».

LE INCHIESTE di Nero Wolfe sono ora riproposte ai lettori italiani nella collana Bestseller di Beat grazie a nuove traduzioni, e arricchite dalle introduzioni, via via, di Camilla Baresani, Goffredo Fofi, Luca Crovi, Carlo Lucarelli e altri. Ultimo titolo della serie: Nero Wolfe e sua figlia (pp. 238, euro 13, 50, traduzione di Alfredo Pitta e introduzione di Diego De Silva).