Un drappello di «militari nazisti» infiltrato nell’esercito. E il rischio certificato dell’«azione parallela» ai danni dei rifugiati. Uno scandalo approdato ai vertici della Repubblica federale, in attesa che si perfezioni l’accordo di governo per il quarto mandato di Angela Merkel.

SPUNTA DAL SOTTOBOSCO verde-oliva delle forze armate tedesche il verminaio di nazisti con l’uniforme della Bundeswehr. Vera e propria «brigata grigia»: operativa in Germania, aggregata all’esercito europeo, inserita nel dispositivo della Nato. Centinaia di soldati con mostrine regolari, che hanno giurato fedeltà alla Repubblica federale, ma continuano a servire solo il fantasma del Quarto Reich.

Finora, il servizio segreto militare (Mad) ne ha già individuati almeno 200, mentre indaga su altri 391 casi sospetti. Un autentico bubbone, che investe la ministra della difesa Ursula von der Leyen (Cdu) prima ancora degli alti comandi già bollati come «inefficienti». Il 23 ottobre ha dovuto ammettere che appena 18 estremisti di destra sono stati cacciati dall’esercito negli ultimi cinque anni. E mentre l’Associazione delle forze armate espelle 30 membri filo-nazisti, il procuratore generale del Meclenburgo-Pomerania apre 5 nuovi casi e – soprattutto – rimane ancora aperto l’inquietante fascicolo sul “terrorismo sotto falsa bandiera”.

Dalla sede Mad di Colonia il dossier dell’intelligence militare rimbalza nel Bundestag di Berlino. Sotto forma di «Informativa sulle attività anti-costituzionali nelle forze armate», viene allegato alla risposta (obbligatoria) del governo all’interrogazione della deputata Verde Irene Mihalic. La relazione restituisce numeri sorprendentemente inediti. «In forte discrepanza con i dati forniti nell’audizione parlamentare del 5 ottobre. Allora il presidente del Mad, Christof Gramm, aveva ammesso solo 8 casi» evidenzia la parlamentare dei Grünen.

Dalle mele marce al cestino infetto. Giuridicamente tutto da indagare, politicamente scoperchiato, quanto basta a preoccupare governo e opposizione. Nei fatti, la presenza di centinaia di soldati nazisti nell’esercito federale tedesco smonta la tesi dei «fatti sporadici», ammessi fino a ieri, e fa emergere il livello d’infiltrazione dell’ultra-destra nella Bundeswehr sempre più formato Wehrmacht.

SONO PASSATI APPENA sei mesi dal «caso del tenente A.» che ha aperto la serie di pagine nere, ma anche il capitolo del terrorismo «parallelo ».

Si tratta di Franco Albrecht, nato a Offenbach, di origine italo-tedesca. Nel 2009 viene spedito all’École spéciale militaire di Saint-Cyr (l’accademia militare francese) dove si diploma con una tesi sulla «strategia di cambiamento politico e sovversione». La relazione viene catalogata «di estrema destra» dagli stessi professori del corso, che annotano nero su bianco l’orientamento del militare. È il primo allarme, ma sembra importare solo ai francesi. Finché nel gennaio 2014 il generale di brigata Antoine Windeck, comandante dell’accademia di Saint-Cyr, informa gli ufficiali tedeschi del contenuto «razzista» della tesi del tirocinante, sollecitandone la rimozione: «Se fosse un francese, verrebbe sostituito».

IL COMANDO Bundeswehr richiama e interroga il tenente, che però nega le accuse dichiarando di essere stato frainteso. E incredibilmente basta a limitare l’ammenda a un «cazziatone», mentre gli viene concesso di continuare gli studi. Un colpo di spugna perfino sulla scheda personale che non riporterà una riga sull’«incidente» come certifica ora l’inchiesta del Mad. Così nell’estate 2014 il neo-nazista si laurea a Saint-Cyr in «scienze politiche e sociali» e l’anno dopo rientra tra gli ufficiali di carriera nell’esercito tedesco.

In parallelo – però – continua l’altra formazione: il 30 dicembre 2015 si registra come rifugiato al centro di accoglienza di Giessen (Assia) e apre una seconda identità. L’ufficio immigrazione se la “beve” come se nulla fosse.

Da lì al 2017 Franco Albrecht sarà anche David Benjamin, fruttivendolo di Damasco perseguitato dall’Isis in quanto cristiano. Parla francese e arabo, eppure ai colloqui per il permesso di asilo risponde sempre in tedesco.

Un altro segnale ignorato. Come il semplice incrocio dei database che avrebbe restituito la vera identità del «profugo». O il mancato controllo della ferita di guerra, certificata sulla parola. Non basta neppure l’interprete di origine marocchina che registra un’altra nota stridente: Albrecht è il solo del gruppo dichiaratamente filo-israeliano. Comunque, il 16 dicembre 2016 David Benjamin ottiene lo status di rifugiato e un posto letto in Baviera.

LA DOPPIA VITA in Germania fila senza problemi. Si inceppa lo scorso febbraio, a Vienna, quando Albrecht alias Benjamin viene arrestato mentre recupera una pistola nel bagno dell’aeroporto. Emerge così il filo della matassa che porta a un’intera brigata franco-tedesca: l’8 maggio nel Baden-Württemberg viene arrestato Maximilian T., 27 anni, di stanza allo Jagerbataillon 291 di Strasburgo. Secondo la procura di Karlsruhe «pianificava un attacco alla sicurezza nazionale, in nome dell’ideologia di estrema destra». Spunta la lista di target: dal ministro della giustizia all’ex presidente federale.

SOLO ALLORA da Berlino la ministra Von der Leyen ordina la perquisizione di tutte le caserme, denunciando l’«inattività» dei vertici dell’esercito. Anche perché in aprile a casa dello studente Mathias F., compaesano di Albrecht, erano stati sequestrati 1.000 proiettili.

«Erano pronti a uccidere per l’idea neonazista» conferma l’intelligence militare, «con la tecnica della False-Flag». Attentati con una falsa rivendicazione, per far ricadere la responsabilità sui rifugiati.