Resta ancora un’esile speranza: se la distanza tra Bolsonaro e Haddad – 57% contro 43% secondo l’ultimo sondaggio Ibope – è ancora troppo grande per immaginare un’inversione di rotta, va almeno segnalato il forte aumento del numero di persone che escludono in maniera categorica di votare per il candidato neofascista, passate dal 35% al 40%, a fronte di un calo dell’indice di disapprovazione nei confronti di Haddad dal 47% al 41%.

Una variazione senz’altro legata alle denunce sulla diffusione tramite WhatsApp di fake news contro Haddad e il Pt, come pure alle ultime clamorose dichiarazioni di Bolsonaro, a cominciare dalla brutale alternativa da lui posta agli oppositori: l’esilio o la galera.

Tra chi si è ricreduto c’è il pastore dell’Assemblea di Dio, Sargento Isidório, il deputato statale più votato a Bahia, che ha dichiarato di aver aperto gli occhi sul «pericolo che corre il paese di fronte all’affermazione che un poliziotto che non uccide non può essere definito tale». E già nei giorni scorsi il Fronte di evangelici per lo Stato di diritto aveva dichiarato il proprio sostegno al candidato progressista che, nel tentativo di contenere l’avanzata dell’estrema destra tra gli evangelici (una massa di 42 milioni di persone, il 22% della popolazione), aveva scritto loro una lettera per smentire le false informazioni diffuse ai suoi danni sulle reti sociali e mettere in guardia dal rischio di un’esplosione di violenza.

L’enorme vantaggio su cui tra gli elettori evangelici, soprattutto neopentecostali, può contare il candidato neofascista è tuttavia incolmabile. E non solo perché in Brasile la seconda maggiore catena radio-televisiva, la Record, appartiene a Edir Macedo, il vescovo della Chiesa Universale del Regno di Dio che ha dichiarato il suo appoggio a Bolsonaro, e non solo perché gli evangelici vivono chiusi nel loro mondo, ascoltando le proprie radio, guardando i propri canali televisivi e partecipando ai propri gruppi di Facebook e di Whatsapp.

Ma perché, più in generale, i settori progressisti, così come la Chiesa cattolica, hanno di fatto abbandonato i quartieri poveri delle periferie urbane, lasciandoli proprio nelle mani del movimento evangelico. E trascurando, come sostiene il sociologo Jorge Elbaum, «il ruolo della spiritualità, religiosa o meno, come supporto alla costruzione di speranza, utilizzabile anche nella disputa politica».

È così che la teologia della liberazione promossa dalle comunità ecclesiali di base ha ceduto il terreno alla «teologia della prosperità», professata da pastori diventati milionari come mezzo di ascesa nella scala sociale. Con risultati neppure sempre disprezzabili: nelle favelas, molte persone sono riuscite per questa via a superare l’alcolismo e a volte anche a rompere ogni legame con la criminalità e il narcotraffico.

In casa cattolica, invece, molto scalpore ha creato il video in cui Jair Bolsonaro stringe calorosamente la mano a un sorridente Orani Tempesta, l’arcivescovo di Rio de Janeiro nominato cardinale da papa Francesco, parlando di un patto da loro «firmato» a favore della famiglia tradizionale e contro l’aborto. Benché l’arcidiocesi abbia smentito – ma solo in un secondo momento – di aver firmato alcunché, evidenziando il carattere unilaterale dell’iniziativa, è certo che il silenzio del cardinale nel video e il suo atteggiamento rilassato hanno indispettito molti.

E mentre il richiamo della Conferenza dei vescovi (Cnbb) a favore della giustizia e della pace sociale è apparso a molti cattolici ancora troppo timido, ben più decisi si sono mostrati alcuni organismi legati alla Cnbb, come il Consiglio indigenista missionario, la Commissione pastorale della terra e la Pastorale operaia. I quali, il 15 ottobre, hanno reso pubblico un documento in cui sferrano un attacco durissimo al candidato neofascista e ai suoi simpatizzanti, accusandoli di seminare odio e terrore, di incitare alla violenza contro neri e indigeni e contro la popolazione Lgbt, di militarizzare le istituzioni, di ridurre o tagliare i programmi sociali: «In poche parole, è l’abbandono dello Stato democratico di diritto».