A Kabul, città sconvolta da decenni di guerra, esiste una piccola scuola che per tanti giovani orfani rappresenta un’oasi di pace. Da oltre diciott’anni la Montessori House of Flowers, accoglie bambini tra i 3 e i 15 anni, formandoli attraverso i principi della scienziata italiana. Secondo il direttore, Fahim Abrahimi, a garantire la normale crescita cognitiva ed emotiva degli alunni, provati dalla terribile realtà che li circonda, è il principio cardine del pensiero montessoriano: la libertà. I giovani scolari, lasciati liberi di scegliere e agire, imparano ad abbracciare le diversità etniche e religiose dei loro compagni, sviluppando senso di responsabilità e cooperazione, diventando consapevoli di sé stessi nel rispetto degli altri e dell’ambiente circostante.

La situazione afghana può apparire culturalmente e geograficamente lontana e, per tanti versi, probabilmente lo è. Tuttavia è innegabile che la recente emergenza sanitaria abbia portato alla luce urgenze locali rimaste finora fuori fuoco, eppure meritevoli di soluzioni e aiuti altrettanto impellenti. Un numero preoccupante di famiglie, legate ad attività economiche che si sono interrotte o dissolte durante la pandemia, sta sperimentando una crisi economica senza precedenti, le carceri, già sovrappopolate, rischiano il collasso, nei campi rom alla periferia di Roma, così come nei centri d’accoglienza a Lampedusa, molti bambini sono destinati a crescere senza istruzione. L’epidemia ha fatto emergere con forza dirompente tutte le problematiche e le necessità di territori e strati di popolazione da sempre considerati, in modo anche contraddittorio, come una cittadinanza di «serie B».

CIÒ CHE È EVIDENTE, tuttavia, è quanto siano necessari un’inversione di marcia, un radicale cambiamento societario. Per ripartire è dirimente investire sui cittadini di domani, favorendo un’educazione alla socialità, al rispetto del prossimo e dell’ambiente circostante: l’istruzione deve essere il fulcro di questo impegno. Una scuola capace di formare una consapevolezza critica sui temi della cittadinanza, della solidarietà e del ruolo di ciascuno in un’economia locale e globale è quanto mai necessaria.

Maria Montessori, nota in Italia soprattutto per le scuole private, può fornire una soluzione inaspettata al bisogno di rinnovamento unilateralmente percepito. Ad oggi i progetti montessoriani dedicati all’infanzia svantaggiata sono numerosissimi in tutto il mondo. Dal Kenya ad Haiti, dalle carceri britanniche ai campi profughi siriani, il metodo italiano si è rivelato uno strumento di straordinaria efficacia per garantire accoglienza e istruzione a bambini in difficoltà. La radicalità del pensiero educativo della scienziata di Chiaravalle, alimentato da una visionaria concezione del futuro e da un’intolleranza quasi strutturale davanti all’indifferenza per le problematiche del presente, può fornirci spunti inaspettati.

Maria Montessori

«Ad ogni scuola che si apre, si chiude una prigione», scrisse Montessori nel 1902 e per i cinquant’anni successivi lavorò alacremente, senza mai perdere fede in questo motto, anzi riconfermandolo di volta in volta, di scuola in scuola. Realtà odierne dimostrano come esso sia ancora valido. Born Inside è un progetto nato nelle carceri inglesi di Holloway e Bronzefield, sviluppatosi nella convinzione che i principi montessoriani abbiano effetti positivi sulle madri detenute, sulla loro relazione con i figli e – di conseguenza – sul futuro stesso di questi ultimi. Attraverso incontri settimanali, tenuti in un ambiente preparato secondo i criteri montessoriani, il personale formato secondo gli stessi principi aiuta le detenute a rafforzare il legame con i propri bambini, garantendo a entrambe le parti il supporto psicologico ed emotivo necessario. L’obiettivo, tanto semplice nelle intenzioni quanto delicato nella sua realizzazione, è di portare le madri a non voler commettere nuovi crimini una volta scontata la pena, per non rischiare di perdere definitivamente i loro figli.

«HO MOLTI SENSI DI COLPA nel far crescere mio figlio in questo ambiente – testimonia una detenuta – questo mi spinge a non voler rischiare di tornare in carcere e a cercare di essere un modello di madre migliore per il mio bambino, per il resto della sua vita». Formati alla resilienza, al rispetto, all’amore per sé e per gli altri, statisticamente gli stessi bambini avranno meno probabilità d’incorrere in situazioni criminali.

Nel 2018, diecimila chilometri più a sud dell’Inghilterra, in Kenya, è nata la scuola nomade di Samburu. Da due anni a questa parte, i bambini della comunità keniota partecipano a un progetto promosso dall’Association Montessori Internationale che ha l’obiettivo di creare un modello educativo a lungo termine, capace di garantire un percorso formativo volto a istruire i giovani salvaguardando la magnifica eredità culturale del territorio cui appartengono.

LE LEZIONI SI SVOLGONO in grandi tende, dove il materiale montessoriano è costruito ad hoc perché possa essere di facile trasporto e perché ne rifletta i tratti culturali. L’intera comunità è coinvolta nella preparazione del materiale didattico e dell’arredamento. Le insegnanti provengono dallo stesso territorio e sono formate sul principio montessoriano «aiutami a fare da solo». Ad ogni spostamento, riempiono gli zaini e raggiungono a piedi la nuova area.

Durante la Prima guerra mondiale, Montessori stessa aveva adottato principi simili nella costituzione, a Parigi, di scuole per i giovani orfani fuggiti dai territori occupati del Belgio e della Francia del Nord. La pedagogista italiana affidò ai soldati mutilati la costruzione dei materiali in un apposito laboratorio e formò al suo metodo alcune vedove francesi a cui affidò la direzione delle classi.

I PROGETTI CONSIDERATI prendono vita da un’eredità montessoriana che non solo è discutibilmente dimenticata in patria, ma che potrebbe anche rappresentare il punto di partenza per ripensare la scuola come centro propulsore di una rinascita comune. L’epidemia altro non ha fatto che mettere in evidenza la lenta e costante erosione perpetrata ai danni dell’istruzione pubblica statale. La nuova realtà che ci troveremo ad affrontare, in un’epoca che potremo definire post-Covid, sarà, e in parte già è, rappresentata da una nuova povertà diffusa e nuove emergenze economico-sanitarie che ci costringono a ripensare la società in cui vogliamo veder crescere i nostri figli.

È vero, siamo oramai abituati a una scuola vittima di tagli, a interminabili graduatorie di precari e a strutture fatiscenti, ma è proprio questo il momento in cui è necessario investire e credere nel potere dell’istruzione, della cultura. Il supporto alle comunità in difficoltà, nel rispetto delle loro tradizioni, il riconoscimento dei diritti dei soggetti ai margini, la garanzia di un normale sviluppo cognitivo ed emotivo dei fanciulli nella consapevolezza della realtà globalizzata in cui crescono, sono punti imprescindibili per poter ripartire. Per farlo, recuperiamo Maria Montessori.

Carteggi e testimonianze per la sua biografia

Maria Montessori è conosciuta in tutto il mondo come colei che, attraverso il metodo da lei stessa ideato, ha avviato all’inizio del secolo scorso una vera e propria rivoluzione pedagogica. La scrittrice e giornalista Cristina De Stefano, nel suo ultimo libro, «Il bambino è il maestro. Vita di Maria Montessori» (Rizzoli, pp.384, euro 20), parte dalla biografia della scienziata di Chiaravalle per svelare la sua storia più intima e umana. Nella curiosa scarsità di biografie della famosissima pedagogista italiana, De Stefano offre una lettura svelta ma attenta della sua vita: dall’abbandono del figlio Mario alla militanza femminista, dalla scoperta dell’infanzia emarginata alla decennale permanenza in India. Attraverso carteggi inediti e testimonianze dirette, l’autrice ripercorre la scoperta montessoriana dell’infanzia ma offre anche uno spaccato su una vita costellata di lotte e rinunce.