«Per raccontare questa storia avevo bisogno di appropriarmene, io e Emmanuèle ci conoscevamo bene, sapevo che non mi avrebbe mai censurato». Emmanuèle è Emmanuèle Bernheim, scrittrice, sceneggiatrice, che insieme a Ozon ha lavorato su diversi film – Sous la sable (2000), Swimmin Pool (2004), morta nel 2017 per un cancro. Insieme a lei stava lavorando Alain Cavalier, l’idea era di fare un film dal suo libro, Tout s’est bien passé (Gallimard, 2013), nel quale Bernheim racconta la morte di suo padre, il collezionista d’arte André Bernheim – nel film di Ozon interpretato da André Dussolier. Ma quando lei e Cavalier, suo amico di anni, stavano lavorando, Emmanuèle scopre che il cancro che pensava di avere battuto è tornato, e poco dopo muore. Il film di Cavalier , Etre vivant et le savoir, diviene un’altra cosa, un diario in cui il filmeur oscilla tra il sentimento della morte e della vita, la materia del cinema, le immagini che si fanno memoria, l’emozione struggente di quella perdita.

OZON NEL FILM mantiene il titolo del libro, Tout s’est bien passé – in concorso, dopo la label al precedente Eté 85, confermando la sua inarrestabile capacità di girare – e nell’esperienza della protagonista (Sophie Marceau) traccia un universo famigliare, di relazioni, di esperienze, di amori che ruotano intorno alla figura di un padre odiato e insieme amatissimo, e di una madre lontana e impenetrabile (Charlotte Rampling) che lo odia forse per la sua omosessualità.

UNA FAMIGLIA alto-borghese anche se in apparenza non convenzionale, che può permettersi la morte – «Come fanno i poveri che vogliono morire?» chiede il padre quando la figlia gli dice il prezzo del suicidio assistito impossibile in Francia, dunque da fare in Svizzera. L’uomo ha avuto un infarto che lo ha semi-paralizzato, parla a fatica, ha bisogno di cure, non è più autonomo: una condizione insopportabile e per questo alla figlia con cui è più in conflitto ma prediletta, cioè Emmanuèle, che da ragazzina insultava mentre lei divorava dolci e sognava di ucciderlo con una pistola, chiede di risolvergli il problema. Lei rifiuta, soffre, cerca di opporsi: ma lui è testardo, e non demorde anche quando sembra cambiare idea, pianifica tutto, anche la sepoltura.

E AFFIDARSI a un altro, alla figlia, delegare a lei anche i tormenti sembra farlo migliorare. La «cronaca» dei mesi e delle settimane, delle incomprensioni e delle fragilità, della vita quotidiana della protagonista insieme al suo compagno, il critico e storico di cinema Serge Toubiana (Erica Caravaca), di sua sorella e dei suoi nipoti, si intrecciano come nella cifra di Ozon a un racconto delle relazioni famigliari, che sono probabilmente nel libro ma che appartengono (appunto) anche all’universo del regista. Il quale rende «personaggio» la protagonista e autrice della storia per permettersi quella distanza in cui restituirla nel suo sguardo, nella sua interpretazione, nella messinscena di una regia.
C’è un tema importante, che è quello dell’eutanasia, ma Ozon è un autore che quando si confronta anche con soggetti «gravi» ne cerca sempre una rappresentazione che prende forma a partire dai suoi personaggi, dalle loro emozioni, dalla loro «battaglia» per fare fronte a una paura e una fragilità. Quelle della «sua» Emmanuèle, di cui cerca nelle pagine i frammenti di un’esistenza, le zone d’ombra, la dolcezza: un personaggio dentro la vita.