Nascono dalla volontà e dalla testardaggine dei suoi fondatori, che con mille difficoltà li sostengono, li ampliano e li tengono aperti. Storie di piccoli musei, e di grandi e un po’ folli passioni. Questo è il primo di una serie di appuntamenti a cadenza settimanale, il prossimo sarà dedicato al museo della canzone italiana di Vallecrosia. Buona lettura.

C’era una volta un piccolo naviglio. Potrebbe cominciare così, con i versi di un filastrocca popolare, la storia di un museo, anche lui piccolo. Il più piccolo del mondo. Ma mentre il piccolo naviglio «Non voleva, non voleva navigar», il museo più piccolo del mondo va per la sua rotta, arricchendosi di strani pesci catturati dalle reti della fantasia. Se arrivare a comprendere da queste poche righe vi può apparire compito difficile, vedrete che in breve tutto si chiarirà. E il museo più piccolo del mondo, altrimenti e non ufficialmente ribattezzato Museo dei pescatori di sogni, diventerà per voi oggetto di sana e irresistibile attrazione.
Il suo fondatore, carica che tuttavia suona un po’troppo ufficiale, porta il nome di Sergio Brumana, astigiano, età stimata tre o quattro passi oltre la soglia dei cinquanta, precedenti politici obbiettore di coscienza, titolo di studio tecnico enologo, restauratore di mestiere e per passione, scultore di recente vocazione. La sua casa, nel centro di Asti, Sergio la divide con la moglie Marina, i figli Carolina e Francesco, il profumo e la bellezza di vecchi mobili scovati nelle cascine e tornati a vivere dopo un lavoro di inesauribile pazienza. Il laboratorio è a due passi.

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Se chiedi di visitare il museo, Brumana sorride senza riuscire a scacciare del tutto una timidezza sincera. Perché il Museo più piccolo del mondo, un metro e trenta di larghezza, uno e ottanta di larghezza, due metri e mezzo di altezza, a volte c’è, e altre non c’è «Mentre smontavo i mobili di una cascina in vendita, vicino ad Asti, ho visto in una stanza un ex ufficio ‘ambulante’ di pesatura del vino, e me ne sono innamorato. I proprietari mi hanno detto di smontarlo e di portarmelo via». L’amore di Sergio si è acceso di fronte a un vecchio parallelepipedo in legno scuro, la targhetta smaltata ‘ufficio’ sopra la porta d’ingresso, un’apertura con ripiano all’esterno per consegnare e ritirare i documenti, le pareti interne dipinte con lo smalto verde che solo ieri dava colore alle abitazioni dei contadini.

Il restauratore Brumana non sa bene cosa farsene, lo lascia lì, nel suo laboratorio, sicuro che, prima o poi, a qualcosa di bello servirà. Da qualche tempo, per gioco, si è messo a realizzare navi in miniatura, combinando il legno con scarti di oggetti in ferro, pezzi di serrature, bottoni ereditati dalla merceria di famiglia, chiavi. Ogni piccolo naviglio è provvisto di ruote «L’idea mi venne subito dopo la tragedia dell’isola del Giglio, ascoltando chi descriveva le enormi difficoltà per riuscire a disincagliare e a portar via la Concordia. I miei piccoli scafi risolvevano il problema grazie alle ruote. In questo non c’era assolutamente mancanza di rispetto o ironia gratuita nei confronti delle vittime del naufragio. È stata una cosa istintiva, forse nata da desiderio che la nave vera potesse raddrizzarsi e lasciare l’isola senza dove fare conti così grandi con la morte e il dolore». Il color verde dell’ex ufficio di pesatura ricorda a Sergio il mare, che, va sottolineato, lui non ama affatto; gli suggerisce che quel parallelepipedo potrebbe diventare un sottomarino immaginario per inabissarsi nella profondità delle onde e tornare a galla pieno di pesci. Quei pesci che, dopo le navi, ha iniziato a scolpire, continuando a servirsi del legno, di scarti di oggetti in ferro, di pezzi di serrature, di bottoni ereditati dalla merceria di famiglia, di chiavi.

Da quattro anni, a fine luglio, Asti ospita il Festival Fuoriluogo: concerti, incontri, spettacoli, presentazioni di libri, chiacchiere in compagnia di un calice di vino, lunghe tavole dove bearsi della cucina del Diavolo Rosso, insegna ispirata al brano omonimo dello chansonnier Paolo Conte «Girano le lucciole nei cerchi della notte / questo buio sa di fieno e di lontano / e la canzone forse sa di ratafià». I ragazzi del festival hanno puntato lo sguardo su Brumana e le sue sculture, vogliono che lui e l’ex ufficio di pesatura siano ospiti dell’edizione 2015. Forse lo scultore timido dietro la barba grigia non aspettava altro. Sotto i portici del nobile cortile che ospita Fuoriluogo monta il bugigattolo, crea il Museo più piccolo del mondo, lo riempie di pesci appesi alle pareti, al soffitto, ai lati dell’ingresso. La gente segue la freccia indicatrice, arriva, si ferma interdetta, si interroga ‘Che razza di museo è ?’, e dopo un attimo di esitazione, entra. Uno alla volta, due non ci stanno. Le voci risuonano all’esterno, sussurri entusiasti, commenti stupiti. Le facce sorridono e le congratulazioni fioccano all’uscita. Ma cos’hanno di tanto speciale le creature ittiche di Sergio Brumana? «Questa è una zona dove sono stati trovati fossili marini e scheletri di balene vissute migliaia e migliaia di anni fa. Forse sono loro, senza che me ne accorgessi, ad avermi ispirato. Però i miei grandi ispiratori sono i materiali che trovo lungo i fiumi, per strada, sulle spiagge. Ogni pesce è fatto sempre e soltanto con materiale di recupero. Molte idee mi vengono giocando con la parole, e le parole diventano il titolo delle sculture. Ad esempio «Nattatoria», in assonanza con la vescica natatoria, perché l’elemento principale della scultura sono le natte, i turaccioli in dialetto piemontese. Ispirandomi al romanzo di Kazui Ishiguro e al film di James Ivory Quel che resta del giorno, ho realizzato una lisca di pesce che ho chiamato «Quel che resta del piatto del giorno». A volte ho il titolo e i materiali, però mi manca l’idea. E allora il mio pesce se ne sta lì ad aspettare. Io dico che se ne sta lì in avanzato stato di composizione».

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Fermiamoci un istante sul secondo battesimo, Museo dei pescatori di sogni «Ogni pesce che faccio nasce da un lampo, da un’ispirazione, che somigliano a un sogno, però realizzabile. Un signore comprò un mio lavoro perché i legnetti di cui era composto gli ricordavano una vacanza meravigliosa fatta in Camargue. Altri ci hanno trovato qualcosa impossibile da definire, i colori e le forme comunicavano loro sensazioni che sfuggono alle parole, li hanno amati senza una ragione precisa. Mi somigliano, questi signori, e credo di essere proprio io il primo pescatore». Ironico aspirante a una citazione nel Guinness dei primati, antro onirico, il museo, almeno nelle intenzioni del suo creatore, non solo appare e scompare, ma potrebbe avere ulteriori evoluzioni, sempre nell’ambito della miniatura «Ho da parte alcuni frontali di negozi d’epoca con i quali creare, un domani, le Botteghe del pesce. Vedremo alla prossima ed eventuale mostra. Certamente i miei pesci non andranno mai in tentata vendita a un negozio o nelle sale di un ristorante; né mi interessa affidarli a una galleria d’arte, in quanto non li considero ‘opere’.

I loro posti sono la mia bottega o il museo le rare volte che espongo. Se a qualcuno interessa comprarli, non mi tiro indietro. Ma su alcuni c’è scritto «Venduto» e non è vero. Sono venduti nel senso che non li cederò mai a nessun altro se non a me». In concerto a Fuoriluogo, Pacifico ha voluto realizzare un video nell’ex ufficio di pesatura, e lo stesso ha fatto Daniele Celona, songwriter torinese e chitarra complice di Levante. Sempre Pacifico ha pensato ai pesci di Brumana per le scenografie del suo nuovo tour. Lo ricordi a Sergio, e lui torna a schernirsi senza ombra di compiacimento. Non vi suoni freddo e burocratico chiudere questo racconto con un numero di telefono. Allo 0141/592202 vi risponderà una voce dall’accento aperto, in saliscendi come le colline del Monferrato, placida come il mare quando non tira vento. La stessa voce l’ascolterete dal vivo mentre parla di pesci che mai nuoteranno; di un attaccapanni in ferro arrugginito, materia madre della balena Moby Dick: di piccoli navigli con le ruote e di legni antichi abbandonati sul bordo di una strada. Vi parlerà anche del museo più piccolo del mondo. Adesso c’è, domani no, dopodomani chissà. Nel dubbio, beviamoci un bicchiere di buon vino guardando il mare dei filari di vigne. L’unico mare che Sergio ama.
1 – continua