Samantha Cristoforetti, astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), aviatrice e ingegnere, è la prima donna italiana ad essere andata nello spazio, dove ha vissuto sulla Stazione Spaziale Internazionale per circa 200 giorni da novembre 2014 a giugno 2015.

In queste ore di quarantena, abbiamo chiesto a Cristoforetti, che si trova a casa in Germania, come gestire l’autoisolamento, la convivenza forzata e lo stato di incertezza, e come adattarsi a questa nuova realtà.

C’è un modo per adattare gli «expeditionary behaviors» degli astronauti alla quarantena per la pandemia?

Direi che sono più applicabili in alcune situazioni piuttosto che in altre. Quello su cui ci concentriamo, anche in preparazione a una missione, è focalizzato sul lavorare insieme all’interno di un ambiente confinato.

In questo caso con la solitudine e l’isolamento sociale… è un po’ diverso. Però ci sono tante persone che stanno vivendo questo isolamento in famiglia e quindi c’è il problema della convivenza 24 ore su 24, senza sapere per quanto tempo con i propri familiari in un ambiente, magari ristretto.

Chiaramente il virus è egalitario fino a un certo punto perché un conto è farsi l’isolamento in una grande casa o in una villa, un conto è farlo in un appartamento piccolo o in tanti in pochi metri quadri. E sicuramente non è facile per niente.

Che consigli dare? Cosa fanno gli astronauti?

Sicuramente tenere i canali di comunicazione aperti, cioè un feedback attivo in qualche modo, e accettare che questa è una situazione difficile quindi il fatto che ci siano ogni tanto dei litigi, che ci si dia fastidio a vicenda, che non sia facile, è del tutto normale. Proprio perché è normale, bisogna avere delle strategie per cercare di affrontarle, e una fondamentale è sicuramente darsi in maniera aperta, non aggressiva, serena. Non è facile perché chiaramente noi sulla stazione spaziale non abbiamo l’investimento emotivo di relazioni sentimentali di decenni, siamo molto più leggeri da questo punto di vista.

Cristoforetti sorseggia il primo espresso nella storia della stazione spaziale (Iss), foto NASA via AP

Gli astronauti partono per la stazione spaziale avendo una missione e un obiettivo. Questa condizione si può applicare anche alla nostra quarantena, in questo periodo in cui appare tutto fermo, ma nel quale ognuno di noi, a livello personale e professionale, ha una missione, un ruolo?

Sì, in questa situazione che si è creata c’è una dicotomia molto forte tra chi lavora dieci volte più del solito, il personale sanitario, i giornalisti, ma anche coloro che riforniscono i supermercati, i camionisti, cioè anche tante professioni che siamo abituati a considerare umili, un po’ invisibili, che si stanno rivelando invece quelle che mandano avanti tutto.

Dai camionisti ai cassieri, a chi riempie gli scaffali dei supermercati… sono persone essenziali e sono anche quelle che rischiano in prima persona molto di più un contagio o anche semplicemente dei disagi.

Passiamo da questi estremi di persone in prima linea, a invece tanti di noi che si ritrovano questa vita un po’ rallentata con una sensazione di non poter contribuire moltissimo, ecco… allora la consapevolezza che anche semplicemente stando a casa – questo è stato detto e stradetto, ma diciamolo ancora una volta – attenendosi alle istruzioni di distanziamento fisico, stiamo dando un contributo significativo a questa battaglia.

Per quanto riguarda poi come dovremmo viverla, sicuramente abbiamo tutti responsabilità, se non altro per le nostre famiglie, per noi stessi perché dobbiamo anche continuare a stare bene.

Credo che sia bene investire in questo tempo affinché non sia tempo perso, tempo sofferto e soprattutto di non fare i conti alla rovescia perché davvero non sappiamo quanto durerà. Non credo sia uno sprint, penso sia una maratona.

Anche in casa, ove è possibile, è importante avere degli spazi privati, dove ci si può ritirare; questa convivenza continua davvero può essere stressante. Sulla stazione spaziale noi abbiamo delle piccole cuccette… investire del pensiero per configurare anche un piccolo spazio che sia per sé, anche un piccolo tavolo, un angolino, una scrivania – se proprio lo spazio è piccolissimo allora magari ci si può alternare – però ecco secondo me non subire passivamente questa situazione, ma cercare attivamente di fare qualcosa per renderla il più gradevole possibile credo sia un investimento importante.

Cristoforetti sulla Iss nel 2015, foto Nasa /Ap

Mi è rimasta impressa dal suo libro «Diario di un’apprendista astronauta» una citazione di de Saint-Exupéry: «Non mi proietto più in un futuro senza volto», dice. Cosa pensa di questo stato di incertezza, non solo nella vita privata di ognuno di noi, ma nella dimensione comune di tutta l’umanità? È una domanda che forse non ha davvero una risposta, ma come si affronta «un futuro senza volto»?

Sicuramente coloro che hanno responsabilità pubbliche, dai politici agli intellettuali ma anche i giornalisti, a questo futuro senza volto dovrebbero pensare di dare un volto. Adesso siamo in questa fase emergenziale che però non può e non deve durare troppo perché altrimenti rischiamo di fare danni gravi alla nostra economia e alle nostre vite.

Bisogna iniziare a pensare a come gestire il dopo. Chi non ha questo ruolo credo che debba prenderla giorno per giorno, cercando di fare in modo che l’oggi sia il meno sgradevole possibile, concentrandosi sulle cose positive, perché non è tutto negativo. È chiaro che purtroppo ci sono persone che invece vivono situazioni di grande dramma allora è troppo facile dire ‘concentrarsi sulle cose positive’…

NdA: Cristoforetti si interrompe per un momento. «Mi scusi, siamo tutti con i bambini in casa», dice. All’altro capo del telefono sento la vocina di una bambina che fa alcune domande alla mamma. Qualche attimo dopo Cristoforetti è di nuovo al telefono, riprende in fretta il filo del discorso, condividiamo un accenno di risata e continuiamo.

Chi può, chi in questo momento non vive il dramma, il lutto o anche i timori economici, perché mi rendo conto che ci sono anche tante persone che non hanno più un reddito, un lavoro…Coloro che hanno il privilegio di vivere ancora una situazione relativamente serena credo che abbiano anche il dovere di concentrarsi sugli aspetti positivi.

Io non ho mai visto mia figlia così tanto come in questi giorni, a parte le prime settimane dopo che è nata. Adesso mentre faccio l’intervista viene a chiedermi cosa mettersi – ride, NdA – però posso anche scegliere di concentrarmi su questo e prenderlo come una cosa positiva.

Il tifone Maysak visto dalla Iss il 31 marzo 2015, foto di Samantha Cristoforetti, Nasa /Ap

In questi giorni si riflette molto sulla responsabilità dell’uomo in questa crisi. Vivere nello spazio le ha insegnato qualcosa di più sulla terra e sul modo in cui l’uomo vive su questo pianeta?

Molto spesso noi astronauti, quando andiamo fuori dalla terra, diciamo di avere una prospettiva globale, o una prospettiva orbitale. Ti concentri meno sui piccoli problemi locali e istintivamente ti viene da concentrarti più sulle grandi sfide dell’umanità, e molto spesso quando dici queste cose… suonano un po’ vuote perché nel quotidiano noi ci concentriamo tutti quanti sull’immediato, sul vicino, è normale.

Ecco, se c’è un momento in cui queste parole non sono vuote penso che sia questo.

Una pandemia è per definizione un problema globale e io mi auguro che quando succederà la prossima volta – e succederà perché non è la prima pandemia e non sarà l’ultima – saremo un po’ più preparati di come ci siamo rivelati questa volta, non solo come singoli paesi a livello locale, ma anche a livello globale spero che saremo in grado di dare una risposta più coordinata ed efficace.