Dopo una lunga apnea e un’altalena di incertezze che non hanno permesso programmazioni a lungo raggio, lasciando spazio soltanto ad apparizioni in streaming, musei e istituzioni culturali riaprono nell’Italia in giallo, togliendo i lucchetti alle mostre allestite con ottimismo e poi rimaste al buio e provando a immaginare un futuro prossimo. Qualcosa, però, della loro identità è inesorabilmente andata in fumo e all’appuntamento con la «ripartenza» si arriva sofferenti, con dispositivi da riaggiornare e reti da lanciare nel mare agitato della comunicazione. La fruizione della cultura necessita, infatti, di un restyling profondo, non di facciata. La domanda che resta sospesa può così riassumersi: musei, gallerie e siti archeologici, privati dell’addomesticato circuito turistico di massa e, si spera, della bulimia dell’evento – che tipo di «corpo» della memoria e dei tempi presenti vogliono rappresentare?

LA PANDEMIA E LE CHIUSURE forzate, in fondo, hanno spinto l’acceleratore sui molti problemi sistemici, mai affrontati. Il direttore dell’Egizio di Torino, Christian Greco, intervenendo durante il convegno organizzato dalla Fondazione di Palazzo Strozzi Oltre la ferita (una riflessione ad ampio raggio sulla sostenibilità della cultura al tempo del Covid) ha immaginato le gallerie espositive come luoghi propulsori di idee, in grado «di sviluppare progetti di ricerca che permettano di comprendere i mutamenti della società, i rapporti fra uomo e ambiente, aiutando a leggere il paesaggio e a trovare soluzioni che ne permettano la sua cura e preservazione. Se sapranno svolgere in maniera attiva la funzione di luoghi di inclusione, di creazione di cittadinanza, di dialogo e confronto – continua Greco – troveranno soggetti interessati a investire in un modello di museo che porti davvero un valore aggiunto alla collettività».
Da parte sua, Lorenzo Giusti, alla guida del Gamec di Bergamo, città divenuta il simbolo tragico della prima ondata, ritiene che sia urgente oggi «ricucire i tessuti comunitari lacerati dalla crisi del sistema globale». Un certosino lavoro di riconnessione che l’arte può favorire se vissuta come «luogo ideale di progettazione».

MA, PROPRIO NEL SIMPOSIO fiorentino, è Annalisa Cicerchia (co-founder Culture Welfare Center di Torino) a toccare il punto dolente. Già prima del coronavirus, gli italiani – per ben due terzi – avevano una scarsa partecipazione alle manifestazioni culturali: un’inattività dovuta alla difficoltà di accesso e a un sistema poco inclusivo. Da qui, «la necessità di un’azione educativa che avvicini le persone ai musei, un’azione che non riguardi solo la prima infanzia ma che accompagni ogni individuo nell’arco di tutta la vita nelle varie condizioni che ognuno attraversa, ivi compresa la fragilità, per consolidare il rapporto fra cultura e benessere».
Probabilmente, la dimensione fisica – la presenza, macchina d’attrazione per emozioni – e quella virtuale – l’affondo per conoscenze non immediate, finiranno per convivere. A Milano, l’HangarBicocca fa sapere che nella consapevolezza di poter accogliere un pubblico diverso, di prossimità, organizzerà campi estivi per ragazzi e iniziative negli spazi esterni. Intanto, buone visioni a tutti e dal 2 maggio torneranno anche le domeniche gratuite (su prenotazione).