Nelle prossime settimane la Corte suprema indiana, a conclusione della valutazione di oltre 20 petizioni accolte negli ultimi nove anni, dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità del progetto Aadhaar («fondamenta», in hindi), il database di dati demografici e biometrici più vasto del mondo a uso e consumo di un governo nazionale. Secondo l’esecutivo in carica, Aadhaar è la rivoluzione digitale che farà del paese l’avanguardia dell’efficienza previdenziale globale, sfruttando le nuove tecnologie per tagliare fuori dalla distribuzione dei sussidi e degli aiuti di stato l’esercito di intermediari corrotti che presidia l’amministrazione pubblica locale.

PER I DETRATTORI del progetto si tratta invece della più grande violazione della privacy di massa della storia, un colossale inganno ordito dalle istituzioni dietro al paravento del welfare indiano.

Aggiungendoci l’aggravante della schedatura volontaria, ci sono i presupposti per una circonvenzione d’incapaci su base subcontinentale destinata a fare scuola. Varato nel 2009, Aadhaar veniva presentato come un scorciatoia digitale offerta agli indigenti, gratis, per essere riconosciuti ufficialmente dal sistema previdenziale statale, avvalendosi di sussidi e aiuti governativi fino a quel momento subordinati all’efficienza intermittente della macchina burocratica statale.

Registrando i propri dati biometrici – riconoscimento facciale, scan dell e iridi e delle impronte digitali – e demografici – nome e cognome, indirizzo di residenza ed età – ogni indiano iscritto ad Aadhaar avrebbe ricevuto un codice unico di 12 cifre, l’Aadhaar Number, che abbinato al proprio conto in banca avrebbe permesso alle istituzioni il trasferimento diretto di benefit monetari e dei sussidi governativi.

OFFRIRE GRATUITAMENTE l’asettica efficienza digitale a milioni di cittadini storicamente soggetti alle angherie della pubblica amministrazione locale è stata operazione non lontana dal capolavoro assoluto: la campagna di iscrizione ad Aadhaar, su base volontaria, alla fine del 2017 aveva già raccolto dati biometrici e demografici di 1,19 miliardi di persone, secondo i dati governativi oltre il 99 per cento della popolazione maggiorenne indiana. Pur mantenendo la non obbligatorietà dell’Aadhaar Number, man mano che l’architettura digitale del sistema allungava i propri tentacoli nel tessuto sociale del secondo paese più popoloso del mondo, i servizi pubblici e privati subordinati all’autenticazione biometrica governativa hanno iniziato a moltiplicarsi a dismisura, di fatto prima aggiungendosi e poi sostituendosi ai precedenti documenti di identità.

CONSEGUENZA DIRETTA dell’Aadhaar Act del 2016, fatto passare di soppiatto dall’esecutivo guidato da Narendra Modi (Bharatiya Janata Party, Bjp) all’interno di un maxidecreto di natura economica – quindi votato solo dalla camera bassa – con cui si istituiva la Unique Identification Authority of India (Uidai), l’agenzia preposta alla gestione dell’inestimabile patrimonio di big data raccolto finora, messo a disposizione di entità terze come strumento di identificazione. In sintesi: qualsiasi compagnia o agenzia accreditata da Uidai poteva chiedere l’accesso al sistema per confermare l’identità di un utente prima di erogare il servizio offerto.

UN METODO SICURO, istantaneo e digitale, spiegava il governo, per garantire i diritti dei più deboli e scongiurare furti di identità. Presto l’autenticazione via Aadhaar è stata prima caldeggiata e in seguito imposta per continuare a usufruire di servizi finora erogati senza scomodare i dati biometrici: vuoi continuare a utilizzare il tuo conto in banca? Dacci il tuo Aadhaar Number; vuoi continuare a usare la tua sim card? Ci serve quel numerino da 12 cifre per sapere davvero chi sei; hai diritto ai sussidi per i cittadini sotto la soglia di povertà? Inserisci l’Aadhaar Number e premi qui con l’indice, vediamo se sei davvero tu.

A OGNI RICHIESTA di autenticazione, un terminale invia un ping al database centrale di Uidai che, parafrasando il paragrafo otto dell’Aadhaar Act 2016, «restituisce una risposta positiva, negativa o con una qualsiasi altra risposta appropriata condividendo le informazioni dell’identità esclusi i dati biometrici», registrando il responso nel database centrale. Per i detrattori di Aadhaar, si tratta di un salto di qualità nell’attuale condizione di sorveglianza permanente cui le tecnologie digitali ci hanno condannato.

Reetika Khera, ricercatrice presso l’Iit di New Delhi che da anni segue il caso Aadhaar, in un articolo pubblicato lo scorso 19 luglio da The Wire spiegava: «Oggi, le informazioni sulla mia vita sono conservate in diversi silos di dati – viaggi in treno, viaggi in aereo, conto in banca, telefono cellulare, impiego, salute etc. L’unica persona in grado di ricostruire l’istantanea della mia vita basandosi su questi dati sono io, poiché solo io ho accesso a questi silos di dati slegati tra loro. Se l’Aadhaar Number viene utilizzato in ogni database diventa il ponte attraverso il quale collegare questi “data silos” contenenti le informazioni sulla mia vita. Il governo, senza che io lo abbia autorizzato, potrà stilare un mio profilo completo, accedendo a una serie di informazioni semplicemente usando un singolo codice identificativo».

PER CHI OSTEGGIA Aadhaar, una mole così imponente di big data concentrati in un database governativo apre scenari degni della letteratura distopica del Novecento: la sorveglianza di stato a portata di click; la vita di ogni cittadino può essere hackerata, la propria identità rubata, l’accesso ai propri big data messo in vendita al miglior offerente dallo stesso governo che dovrebbe proteggerli all’interno di un database «a prova di bomba», secondo il governo. Quando il mese scorso Rachna Kaira di The Tribune è riuscita a comprarsi l’accesso al database di Uidai pagando 500 rupie (poco più di sei euro) a un utente anonimo su Whatsapp, dimostrando le falle enormi nel sistema di sicurezza di Uidai, l’autorità ha spiccato denuncia contro ignoti e contro la stessa giornalista autrice dello scoop. Edward Snowden, pochi giorni dopo, ha commentato su Twitter: «I giornalisti che hanno rivelato la falla del sistema Aadhaar meritano un premio, non un’indagine.

Se il governo avesse a cuore la giustizia, dovrebbe riformare le politiche che hanno distrutto la privacy di un miliardo di indiani. Volete arrestare i responsabili? Si chiamano Uidai».
In attesa della sentenza circa la costituzionalità del progetto Aadhaar – secondo la Banca Mondiale «il più sofisticato programma di identificazione al mondo» – la Corte suprema ha rinviato al prossimo 31 marzo il termine ultimo per abbinare il proprio Aadhaar Number alla propria sim card e conto in banca, evitando così l’interruzione del servizio.
In caso di parere favorevole, il precedente indiano segnerà un punto di non ritorno nell’era della sorveglianza di massa globale, certificando il diritto dello Stato a un controllo mai così capillare ed efficiente delle vite dei propri cittadini.

Biometria anche per il cibo, protestano le ong
L’obbligo di autenticazione biometrica via Aadhaar per ricevere le razioni di cibo a prezzi calmierati previste dal welfare indiano ha già sollevato l’indignazione di Ong e gruppi per la difesa del diritto al cibo nel paese. Secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, decine di aventi diritto a razioni di riso distribuite nei negozi governativi del Public Distribution System (Pds) si sono visti negare la propria razione a causa di malfunzionamenti dei terminali per il riconoscimento delle impronte digitali. Nel mese di ottobre, secondo gli attivisti di Right to Food Campaign, il Pds di un distretto del Jharkhand aveva negato la razione mensile di 25 kg di riso a una famiglia, causa non riconoscimento delle impronte digitali al momento dell’autenticazione.