L’incrocio tra le due riforme che più stanno a cuore a Renzi, la nuova legge elettorale e l’imponente revisione costituzionale, è noto: l’Italicum (la prima) può funzionare solo una volta abolito il senato(con la seconda). Da qui l’argomento di diversi «frenatori»: tutta questa corsa sulla nuova legge elettorale, senza aver messo in sicurezza l’abolizione del senato elettivo, ha poco senso. Da qui anche il «compromesso» renziano, la disponibilità a congelare l’Italicum fino a metà 2016. Non è detto che per quella data le riforme saranno cosa fatta, come non è detto che il governo non trovi il modo di rimangiarsi il compromesso, scongelando anzitempo l’Italicum, magari per la sola camera dei deputati. Ci vorrebbe un decreto, per Costituzione vietato in materia elettorale, ma c’è più di un costituzionalista – anche non renziano – convinto che in questo caso il divieto non sussista. Un po’ perché non si tratterebbe di un intervento nel merito della legge (ma solo sui tempi di applicazione), un po’ perché la Consulta con la sentenza contro il Porcellum ha aperto a questa soluzione.

Il disegno di legge Costituzionale riprende oggi il suo cammino alla camera, dopo due settimane di intervallo nel corso delle quali è stato eletto presidente della Repubblica un giudice costituzionale. La novità è che Forza Italia giura di essere passata all’opposizione, minaccia piuttosto scarica alla camera visti i numeri del Pd e assai seria al senato dove le riforme andranno certamente (saranno però riesaminati solo alcuni articoli) e l’Italicum potrebbe dover tornare. Ma se il governo finisce nella mani di piccoli gruppi di «responsabili» o «stabilizzatori» che hanno come unico scopo dichiarato quello di allungare la legislatura, questi potranno rapidamente valutare la convenienza di non precipitarsi a votare le riforme, soprattutto quella elettorale. Sarà tutto più chiaro nei prossimi giorni, intanto l’Italicum che è arrivato a fine gennaio alla camera non è stato ancora messo all’ordine del giorno della prima commissione (il presidente è il forzista Sisto, vicino a Fitto e dunque tra i meno disponibili al Pd), se ne riparlerà a marzo.
Il calendario dei lavori di Montecitorio è tutto dedicato al disegno di legge di revisione costituzionale, da oggi a sabato, con sedute fino alle 23. Ma gli emendamenti da votare sono ancora molti e i sub emendamenti neanche tutti definiti, circa 1.500 votazioni più gli articoli che sono una ventina (riguardano il Titolo V e il complicato procedimento legislativo nel nuovo bicameralismo non più paritario). I tempi sono contingentati e ormai quasi esauriti, ma che si tronchi la discussione proprio sugli argomenti più importanti della riforma costituzionale (che la maggioranza ha voluto discutere alla fine) sembra eccessivo; un allargamento dei tempi si può dare per certo e difficilmente il voto finale arriverà questa settimana. Senza contare che l’ostruzionismo viene fatto in gran parte fuori dai tempi contingentati (intervenendo sul processo verbale, sull’ordine dei lavori, sul regolamento o in dissenso dal gruppo) e resta da scoprire se Forza Italia eserciterà davvero la sua annunciata «opposizione a 360 gradi» fino al filibustering.

Già da adesso si può intravedere qualche ostacolo sulla strada del governo. Per esempio all’articolo 13, dove con tre diversi emendamenti la minoranza del Pd chiede di rendere obbligatorio l’esame preventivo della Corte costituzionale sulle leggi elettorali, estendendolo anche all’Italicum in via di approvazione. Renzi si è sempre detto contrario, tradendo scarsa fiducia nella sua stessa legge, anche se (come spiega Villone nel pezzo qui accanto) una recente sentenza della Consulta, redatta da Giuliano Amato e con ancora Sergio Mattarella tra i giudici, annuncia un orientamento meno intransigente dei giudici costituzionali. C’è però un emendamento simile a quello della minoranza Pd firmato da Scelta civica, dove i deputati che hanno resistito al «corteggiamento» renziano – quasi tutti, 23 su 25 – mostrano qualche nervosismo, tanto da lasciare libertà di voto su tutte le riforme. Fatti i conti (la minoranza Pd gira sui 60 voti) e mettendo tra le possibilità qualche ripensamento tra gli alfaniani, il governo potrebbe andare sotto proprio laddove si incrociano le due riforme che più stanno a cuore a Renzi.