Che oltre all’analisi dell’esistente e alla sua critica, sia necessaria anche l’immaginazione per riuscire a mettere in crisi le logiche di dominio non è forse ancora evidente a tutti. Senza confini. Una etnographic novel di Francesca Cogni e Andrea Staid (Milieu, pp. 127, euro 17.90) è una dimostrazione di come sia possibile tenere insieme creatività e critica.
Migranti: «decostruire questa parola e risignificare l’importanza dei soggetti in transito, distruggere le differenze e i muri costruiti dai media e dalla classe politica tra ‘noi’ e ‘loro’, parlare non più di migranti, ma di storie, desideri, lotte, emozioni, vissuti che al pari dei nostri, anche se con privilegi diversi, sono in transito permanente»; graphic novel: «nell’urgenza di rimettere al centro la riflessione e la critica del potere politico delle immagini, abbiamo sperimentato nel disegno un linguaggio lieve e non intrusivo, capace di per sé di generare un tempo di relazione e di rappresentazione immediatamente condivisa», è con questi presupposti che nasce Senza confini, raccontando: un ragazzo afgano poliglotta che ha imparato a leggere e scrivere da solo; un pittore congolese che sogna l’Africa dalla periferia di Milano; un giornalista gambiano attivista del movimento dei rifugiati a Berlino; un militante turco fuggito dal carcere; un rifugiato – palestinese di famiglia, siriano di nascita, berlinese per scelta; una rapper americana nata in Florida che racconta i margini della società occidentale; infine una associazione internazionale di donne.

DUE ILLUSTRAZIONI efficaci sono quelle che riproducono la situazione dei migranti e rifugiati utilizzando la simbologia del gioco degli scacchi e del gioco dell’oca («burocrazia lenta: fermo tre turni; controllo di polizia: vai al Cie; sei licenziato: vai alla casella 2; cambio di leggi Eu: torni al muro; attacco dei nazi: finisci in ospedale, fermi un turno; prendi il foglio di via: torna alla casella 1»). La situazione vissuta dai migranti è un labirinto la cui via di uscita può essere trovata solo distruggendo il labirinto stesso, partendo da un contesto di lotta e autodeterminazione che «aiuta a prendere forza, a essere attivi», come dice Muhammed, che continua: «Se desidero andare a vivere in un altro paese – perché io in quanto essere umano sono libero di decidere dove voglio stare, no? …invece continuo a non avere il diritto di lavorare e studiare. Perché? Non riesco proprio a capire».

UN ALTRO CAPITOLO molto significativo visivamente e narrativamente è quello di Napuli, artista e attivista sudanese, in cui perfino gli alberi – non solo gli esseri umani – non hanno radici e camminano per omaggiare i neonati.
Il volume si presenta come «etnographic novel», definizione accattivante. Ma è proprio dalla lettura di lavori come Senza confini che si può mettere in discussione il concetto di etnos e quindi anche di certa etnografia.
L’etnografia, così come la geopolitica, tendono a definire una volta per sempre degli ambiti per controllarli meglio. Se in Logiche meticce Jean-Loup Amselle, critica la «ragione antropologica», non complice ma figlia di un’ideologia coloniale che tendeva a separare i soggetti dal loro contesto e a classificare, distribuendo così, grazie al rapporto di forza favorevole, attributi e definizioni destinati inevitabilmente a diventare categorie politiche, Cogni e Staid rivendicano alla loro antropologia lo statuto di sapere di frontiera che vuole mettere in discussione tutti i confini. Senza confini, appunto.
È proprio dall’ibridazione delle culture – e non dalla sua conservazione – che possono nascere le nuove diversità che contrastano le logiche del controllo e del dominio.