In Mangia prega ama Julia Roberts faceva il giro del mondo per ritrovare se stessa dopo il fallimento del suo matrimonio. Più o meno per la stessa ragione, in Wild, Reese Whiterspoon cammina dalla punta più a sud della California a quella più a nord dell’Oregon. Tratto, come Mangia prega ama, da un best seller della letteratura inspirational, anche Wild è ambientato sullo sfondo di scenari da cartolina (erano l’Italia e l’India nella storia di Elizabeth Gilbert, mille e passa miglia di wilderness californiana per quella di Cheryl Strayed). Ma gli unici paesaggi a cui entrambi i film sembrano interessati sono quelli interiori, e molto meno avvincenti, delle loro protagoniste.

È quasi strano quanto poco l’occhio del regista canadese Jean Mac Vallée (autore del simpatico e sgangherato Dallas Buyers Club) sembri tarato sulla scala sia fisica che emotiva dello sterminato panorama naturale attraverso cui si muove, in solitudine quasi assoluta, la sua protagonista. Un’intera scuola di grande pittura americana ottocentesca (Remington, Moran, Bierstdat….) si è dedicata a quel panorama. Sui mountain men che lo hanno abitato in solitaria sono stati scritti molti libri d’avventura, dai quali sono stati tratti anche dei film, come Corvo rosso non avrai il mio scalpo.

Posto che Vallée e il suo sceneggiatore Nick Hornby possono non aver visto nei loro sfondi il feroce sublime che ci avrebbero trovato Cimino o Milius, la minaccia che ci avrebbe messo un Herzog, lo splendore austero, riservato, di cui Kelly Reichardt ha circondato i suoi pionieri appiedati in Meek’s Cutoff, e nemmeno il misto di romanticismo e spacconeria evocato dal protagonista di Into the Wild-Nelle terre selvagge di Sean Penn, è quasi inaccettabile che un film dedicato a una catarsi interiore raggiunta grazie a un prolungato contatto con la wilderness abbia così poco amore e poca sensibilità estetica nei suoi confronti.

Non c’è montagna, lago, o vista che tenga a confronto l’estasi narcisista del self help – Reese Whiterspoon/Cheryl Strayed torreggia su tutto, con le sue bolle ai piedi, le unghie che cadono, il fornelletto che non funziona, la quantità industriale di preservativi portata appresso chissà perché, i flash back convenzionalissimi in cui si butta via a forza di droga e sesso, le citazione letterarie da Bignami. Il risultato è, paradossalmente, un film dall’orizzonte meschino, così assorto nei problemi della sua protagonista da farle un torto; a lei e a chi la interpreta.