Indica l’orizzonte della «fraternità» universale e dell’«amicizia sociale» l’enciclica Fratelli tutti, firmata da papa Francesco ad Assisi, sulla tomba del santo da cui ha preso il nome, e resa pubblica domenica, all’Angelus in San Pietro (anche se il sito tradizionalista spagnolo Infovaticana ha violato l’embargo e ha pubblicato il testo integrale ieri sera, come del resto fece L’Espresso nel 2015 pubblicando in anticipo una bozza della Laudato si’).

E proprio a Francesco d’Assisi è ispirato il titolo («Fratelli tutti, scriveva san Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo») e sono dedicate le prime righe del documento. Con il ricordo della sua visita al sultano Malik-al-Kamil in Egitto, nel bel mezzo delle Crociate, simbolo di quello che è il cuore dell’enciclica: l’obiettivo della costruzione di una «fratellanza universale» – e sorellanza, anche se il termine femminile non è presente, come hanno fatto notare le donne –, capace di superare le «distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione» e di rifiutare «guerre» e «sfruttamento».

Fratelli tutti riprende e rilancia i due principali documenti sociali di Bergoglio: l’enciclica eco-sociale Laudato si’ ma anche i Discorsi rivolti ai movimenti popolari. Parla di difesa dell’ambiente e critica il sistema capitalistico che, inseguendo il dogma del profitto per pochi, violenta la Terra, saccheggia le risorse, comprime i diritti, genera ingiustizie sociali, provoca guerre e costringe interi popoli a emigrare. Rischia, a volte, di «volare alto», con richiami generici alla solidarietà e all’amore reciproco. Ma del resto un’enciclica è un testo del magistero non un programma politico (per quanto alcune indicazioni politiche siano presenti).

Il punto di partenza sono «le ombre di un mondo chiuso», che ha moltiplicato conflitti e innalzato muri, in nome di «nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi», i quali teorizzano e realizzano la «cultura dello scarto», che si manifesta con leggi di mercato fondate sul profitto di pochi, razzismo, compressione dei diritti umani, guerre e conflitti, schiavitù: «Certe parti dell’umanità – scrive Francesco – sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti».

Invece, i diritti non hanno «frontiere», né geografiche, né sociali, né di genere. «Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono», si legge nell’enciclica. «I confini e le frontiere degli Stati non possono impedire che questo si realizzi. Così come è inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna». Confini nazionali e proprietà privata non sono dogmi: la «destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse», per cui «ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo». Questo presuppone «un altro modo di intendere le relazioni e l’interscambio tra i Paesi», fondato sulla condivisione dei beni e risorse, non sull’accaparramento, perché «il mondo è di tutti» e «non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese».

Per realizzare questa «fraternità» occorre il contributo e la corresponsabilità di tutti, facendo propria la scelta del «buon samaritano», senza guardare se chi ha bisogno di aiuto «fa parte della propria cerchia di appartenenza».  Ma Francesco indica anche delle scelte alla politica, che deve occuparsi solo del «bene comune» e deve essere popolare ma non «populista» (quando cioè strumentalizza «la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere», oppure «mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione»). Ad esempio sulla questione immigrazione: incrementare e semplificare la concessione di visti, aprire corridoi umanitari, assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali, offrire possibilità di lavoro e formazione, favorire i ricongiungimenti familiari.

L’ultima parte dell’enciclica è dedicata a due fra le più evidenti negazioni della «fraternità» secondo papa Francesco: la pena di morte e la guerra. La pena di morte – ma anche le «esecuzioni extragiudiziarie o extralegali», spesso «fatte passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionato della forza» – «è inammissibile e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo».

La guerra «non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante», e sempre più «facilmente si opta per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione».

Poi, con lo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche – «l’eliminazione totale delle armi nucleari» è «un imperativo morale e umanitario» –, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, «si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile», quindi «non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra».

ERRATA CORRIGE

Per uno spiacevole errore, questo articolo è stato pubblicato per qualche ora con la firma di Raniero La Valle invece che di Luca Kocci. Ce ne scusiamo con tutti gli interessati.