Scampata, come Neil Young, all’epidemia di polio del’53, la canadese Roberta Joan Anderson è una ragazza forte, determinata, tendenzialmente solitaria. Interrompe gli studi dopo un solo anno di frequentazione dell’Alberta College Of Art And Design, ma continuerà sempre a dipingere. Ha nel frattempo imparato l’ukulele e poi la chitarra. Innamorata del rock’n’roll, del country, del jazz e quindi della scena beat inglese, si esibisce dapprima in Canada, poi negli Usa, dove prende il cognome dell’ex marito americano e si ribattezza Joni Mitchell. Entra in contatto con Judy Collins che, entusiasta di lei, realizza cover di alcune sue canzoni. Conosce Leonard Cohen, con cui avrà un idillio, ma soprattutto uno scambio artistico e spirituale che per lei sarà fondamentale. Ma sarà solo l’incontro con David Crosby che le procurerà un contratto con una casa discografica, la Reprise.

IL PRIMO ALBUM, Joni Mitchell (1968), poi ristampato con il titolo Song To A Seagull, contiene 10 canzoni di folk lirico, delicato, con una malinconia alla Leonard Cohen ma anche una certa esuberanza, e liriche in cui dominano il poetico e il personale. L’artista usa accordature aperte, per cui la coda del suono è molto lunga, esaltando gli armonici e i riverberi naturali. I brani, grazie anche alla grandiosa e perfetta vocalità della Mitchell, sembrano mosaici ancestrali, e la musica più disegnata che suonata. Del resto l’artista ha affermato di sentirsi una pittrice prima che una musicista.

Lo ribadisce il secondo disco Clouds, meno trattenuto, più smagliante e colorato, anche nelle liriche, come quelle della meravigliosa Chelsea Morning, dove le suggestioni cromatiche e olfattive creano esse stesse emozioni. La poesia della Mitchell è descrittiva. L’assertività si inserisce nel flusso di immagini e quadri di vita, come uno sviluppo naturale.

CONOSCIUTO un certo successo la cantante, che nel frattempo si è trasferita in California, partorisce l’album della sua maturità, Ladies Of The Canyon, in cui il folk si sporca del country-rock di Crosby, Stills, Nash & Young. Gli strumenti utilizzati (piano, violoncello, clarinetto, sassofono e altro) contribuiscono alla raffinatezza jazz di un lavoro agrodolce, ora elegiaco ora scherzoso, che contiene la sua versione di Woodstock, più sfumata rispetto al pezzo rock che ne faranno Crosby, Stills, Nash & Young, e la sfrenata Big Yellow Taxi dalle coloriture ecologiste, le prime canzoni «politiche» inserite in un disco della Mitchell.

La leggerezza che si trovava a tratti in Ladies of The Canyon si perde perlopiù in Blue (’71), con brani di folk chitarristico volutamente contratto, rappreso (ma non per questo meno sofisticato), e ballate di un pianismo quasi solenne. La melodie sono libere e audaci, tanto da rammentare quelle di Tim Buckley.

Apparentemente le canzoni sono in linea di massima reportage di situazioni romantiche, ma in realtà esse cantano l’impossibilità della redenzione e della gioia. Considerato il capolavoro dell’artista, Blue venderà 10 milioni di copie.
Dopo il box Archives, vol. 1 – The Early Years (1963 – 1967), la Rhino ha rilasciato il cofanetto The Reprise Albums (1968 – 1971) che contiene, in una splendida confezione, la versione remixata di Song To A Seagull e quelle rimasterizzate di Clouds, Ladies Of The Canyon, e Blue.

A fine ottobre, uscirà, come parte del box Joni Mitchell Archives vol. 2: The Reprise Years, una performance in 2 set, finora inedita, registrata da Jimi Hendrix.