Con il titolo La contrada natale dei sogni (Quodlibet, pp. 247, 18 euro) arriva per la prima volta in Italia una selezione delle poesie di Yang Wanli (1127–1206), uno dei «quattro maestri» della poesia cinese della dinastia dei Song meridionali. I Song, che regnarono sulla Cina dal 960 al 1279, sono stati i primi nella storia ad emettere a livello nazionale carta moneta, a utilizzare la polvere da sparo e a localizzare il nord tramite una bussola.
Nato a Ju Shui nello Jangxi, territorio sulle rive del fiume Azzurro, di Yang Wanli rimangono oltre 4.000 poesie delle 20.000 da lui scritte dopo aver lasciato gli incarichi nella pubblica amministrazione ed esser tornato nel suo paese natale con moglie, sette figli e una piccola pensione.

Sono brevi componimenti che ritraggono come istantanee fotografiche la realtà che via via lo circonda, spesso vista come al microscopio. Soggetto privilegiato è la natura, il suono della pioggia sulle foglie del banano cui fa eco la grondaia, un petalo di fiore di pesco tra le pagine di un libro, una mosca che prende il sole, la zuppa di tagliatelle che sul tavolo si fredda, neve all’alba, niente vento sul fiume Azzurro, l’acqua è piatta, verde.

Ogni tanto si lamenta per la canicola o per il freddo, stati d’animo semplici, elementari, accompagnati volentieri da un bicchiere di vino. Estraendo senza permesso dalle sue poesie versi ad hoc, e assemblandoli in un cut up alla Burroughs: riempio la coppa di continuo, non smetto finché mi sbronzo, non importa se domani mi sveglio coi postumi, nel frattempo mi faccio un bicchiere dietro l’altro, dopo una nottata all’osteria all’alba postumi niente male, testa per conto suo, ventre in subbuglio, una luna splendida mi invita a bere, stramazzo ubriaco dinanzi ai fiori, per coperta il cielo, la terra per guanciale.

Yang Wanli viaggia molto, in barca sul fiume Azzurro, a piedi o in portantina tra precipizi, prati verdi, montagne innevate, e come per l’acqua anche la luce viene analizzata in tutte le sue sfumature, i colori dell’alba, il tramonto, sole allo zenith, notte, stelle, niente psicologismi, lirismi o interpretazioni. A guidarlo l’I Ching, il Libro dei Mutamenti presente nella ben fornita biblioteca paterna, e il «non fare» di Lao Tze, un agire «spontaneo» in accordo con il fluire dell’energia che tutto permea. Vivere senza la pretesa del controllo, in armonia con la natura: «chiudersi dietro una porta è il metodo sbagliato di poetare, solo in cammino i versi vengono da sé».

Ottocento e passa anni dopo pensieri simili sono germogliati tra le Foglie d’erba di Walt Whitman, e più recentemente nella crescente consapevolezza della necessità impellente di un nuovo e antichissimo modo di relazionarsi con la Terra. Non natura morta da usare e consumare ma entità vivente con cui vivere in simbiosi. Pena l’estinzione, avverte Greta.

Paolo Morelli, che in 4 anni ha tradotto e curato l’antologia, in una utilissima postfazione, oltre a far luce sulla vita e le opere di Yang Wanli, e sul contesto storico in cui operò, dà conto dei problemi inerenti a una traduzione dal cinese. Impensabile una traduzione letterale, un ideogramma cinese contiene in sé «una tale densità di senso da richiedere una perifrasi se non una intera frase. Il metodo usato per la traduzione – scrive Morelli – si rifà alla stessa tradizione di pensiero cui ha attinto il poeta: si è provato a indovinare, captare la voce del verso in una sorta di fragile e impunito atto di evocazione, in questo abilitati e facilitati dall’esser considerato Yang Wanli un «poeta colloquiale». La Cina è sempre più vicina.