Il pubblico calabrese ha ripagato con applausi entusiasti e standing ovation l’unica apparizione italiana, al Politeama di Catanzaro, di uno spettacolo molto atteso e significativo, che vi ha fatto la sua unica tappa italiana, nell’ambito della ricca rassegna Armonie d’Arte. Since she (Da quando lei) ha segnato la prima commissione di un nuovo lavoro ad un coreografo esterno alla compagnia, quasi dieci anni dopo la scomparsa di Pina Bausch, da parte del suo Tanz Theater di Wuppertal. Del resto, il prescelto per firmare questo trapasso «ereditario» è uno degli artisti più significativi e «incisivi» della scena europea (nel cui ambito ha già riscosso i massimi allori).

Dimitris Papaioannu infatti ha riscosso successi trionfali, davvero planetari, allestendo la cerimonia inaugurale dei giochi olimpici di Atene nel 2004, e una ancor più mirabolante ed inventiva performance per quelli europei di Baku. Ma l’artista greco è anzitutto un accurato intellettuale, artista visivo scientificamente preparato, capace anche di asciugare e concentrare in spettacoli con pochissimi interpreti una vitalità possente, quanto magari dolorosa. Insomma un nome già abbastanza straordinario tra quelli (sempre meno del resto) che contano e creano il gusto del pubblico.

LA SCOMMESSA, con i danzatori/performer della compagnia Bausch, era molto rischiosa, potendo facilmente finire in un calco così come, al contrario, in una qualche forma di «profanazione» di quel modo di evocare, sbirciare, rendere glamour la vita quotidiana, e insieme trarne anche i succhi più amari e allusivi. Insomma lo «stile Bausch» che ha fatto innamorare, divertire e scatenare ormai diverse generazioni di spettatori e imitatori. E Papaioannu da parte sua presentava delle credenziali particolarmente interessanti, avendo esordito nella propria carriera, come seguace e assistente di Bob Wilson, che con Bausch ha rappresentato negli anni 70/80 del secolo scorso l’ultima grande coppia di maestri, lui così rigoroso nella reinvenzione di spazio e tempo da arrivare a trasformarne la percezione stessa, lei così abile a scavare in profondità nelle pieghe, anche quelle più intime e magari meno confessabili, dell’animo umano.

L’ARTISTA GRECO è riuscito invece a mantenere il rigore e la precisione di Wilson, ma avvicinandosi nello stesso tempo a quel giacimento emozionale di Pina con rispetto unito a una divertita affermazione di una propria originalità. Complici anche i danzatori entusiasti e disponibili, in maggioranza dell’ultima generazione di associati ben rodati al Tanztheater di Wuppertal, ma con al centro esponenti storici di quella compagine, inconfondibili ed emozionanti come Julie Anne Stanzak e Ruth Amaranto. Non parlano mai quelle presenze, ma esprimono col corpo, e nel rapporto con gli oggetti, una poetica concreta e tattile molto esplicita. La scena, fissa, è una enorme montagna scura, forse residuo calcificato di nere stratificazioni gommose, che pure evocano tanti inquietanti aggregazioni buie, da Viktor a Vollmond. Se da un lato con quella scabrosità si continueranno a confrontare instancabili in verticale, c’è il piano orizzontale, lubrico eppure ben governato, dei rulli su cui far scorrere i corpi, i carrelli, quasi le zattere di una speranza mai appagata.

E DAVVERO fenomenale è l’immagine iniziale della compagnia che attraversa in fila orizzontale il palcoscenico, procedendo su una teoria di sedie che una volta superate tornano avanti per il passo successivo: non sono più le sedie «indisciplinate» e ostative di Cafè Müller o quelle più «ruffiane» di Kontakthof, ma un percorso/duello da vincere e portare all’incasso, come quel danzatore che a un tratto ne inanella sulla propria schiena una dozzina. Non mancano insomma le citazioni e i richiami agli spettacoli e agli stilemi Bausch, ma è un omaggio tenero e divertito, come per quei calici elevati dalle danzatrici come in Vollmond o Mambo Blues («servono a raccogliere l’acqua dal cielo, come nell’Eden» spiegava Pina sgranando gli occhioni nei momenti relax).

NON MANCANO insomma le citazioni, che si rivelano omaggi affettuosi e deferenti al genio di lei. Ma Papaioannu con forza imprime il suo «segno» a questa esperienza che deve egli stesso ritenere capitale. Guizzano spesso i corpi nudi (mai visti negli spettacoli Bausch), sono esplicite le citazioni pittoriche, giocate a sorpresa: la bellezza preraffaellita di una danzatrice, viene avvolta nelle frasche da far spirare un’aura di Botticelli, ma magari anche del Doganiere Rousseau. Insomma un trionfo e un tripudio di intelligenza e di visioni. Come forse non se ne vedevano appunto «da quando lei»…